lunedì 9 giugno 2014

SEZIONE NARRATIVA

SEZIONE NARRATIVA

GIURIA
Presidente: Alessandro Marongiu – Critico e agente letterario
Antonio Demontis – Critico letterario, redattore, editor
Laura Dore – Editor, redattrice
Silvia Lutzoni – Critico letterario, saggista
Gloria Ghioni –Critico letterario, editor, fondatrice del sito www.criticaletteraria.org

1° Premio
NIKE GAGLIARDI con 'Prima persona singolare (Canto d'amore per la città del cuore)'

2° Premio
ANDREA TAFFI con ' Niente di nobile'

Menzione d'onore
LUCA DORE con ' A tenore'
IGNAZIO FRESU con ' Così è un racconto sulla città'
LUCA DETTORI con 'Senza titolo'


I racconti sono stati pubblicati IN QUESTO blog: www.sinergiecreative.blogspot.it

sabato 7 giugno 2014

SEZIONE POESIA


TUTTE LE POESIE PARTECIPANTI AL CONCORSO

SEZIONE PITTURA E GRAFICA

Opera vincitrice
Frammenti
di
Emiliano Bassu


Segnalazione dell Giuria
Santa Maria
di
Enzo Tanda


Segnalazione della Giuria
Vicolo Frigaglia
di
Salvatore Olla


Segnalazione della Giuria
Urbanizzazioni
di
Antonella Dettori

SEZIONE MUSICA




1° Premio ex aequo

PAOLO PASTORINO alis Dennis Dale,  con Astral Projection





1° Premio ex aequo

MARIO CARTA  alias Pietro Valgoi e Fabio Ferrara alias Gianna Brezzi,
con You (shook me all night long)

https://soundcloud.com/mario_carta/you-shook-me-all-night-long
(clicca per ascoltare il brano)





2° Premio

ANDREA LORIGA alias Paul Green, con Tenera è la luce
https://soundcloud.com/paulgreen_82/tenera-e-la-luce
(clicca per ascoltare il brano)

SEZIONE FOTOGRAFIA

 Vincitori ex aequo 


Autore: Antonio Furesi

Autore: Rita Francesca Roberti

Autore: Stefano Satta

Autore: Pavlo Sublustrum

venerdì 6 giugno 2014

Prima persona singolare (Canto d'amore per la città del cuore)


Prima persona singolare
(Canto d'amore per la città del cuore)
Di Nike Gagliardi
1° classificata

Creo la mia creatura. La scrivo come maschio, umano. Lo faccio nascere da una madonna proletaria, lo sguardo allucinato per sempre da una sacra annunciazione indotta da oppiacei.

Niente di nobile


Niente di nobile
Di Andrea Taffi
2° classificato
Terzo si accertò che la capanna resistesse all’acqua e ai cinghiali, poi caricò i sacchi di carbone sul mulo e tornò in paese. Era quasi mezzogiorno, quando arrivò. Il capitano Mauri l'aspettava per la firma dei documenti. Depositò i sacchi nel magazzino e raggiunse l’ufficiale.

Una città unica

           
            UNA  CITTA’  UNICA
                            di
             Maria Teresa Cugusi

Una vecchia foto in fondo a un cassetto mostra un breve tratto della strada in  cui sono nata.
            Negli anni bui della guerra, trascorsi in Toscana, quest’ immagine mi ha accompagnato sem-
pre,  facendomi bruciare di nostalgia e di rimpianto, di desiderio e di certezze lontane.

Storia di una burlesque


Storia di una burlesque
di
Giovanna Manca

La luna si affacciava su una pozza di sangue, lei giaceva per terra con ancora addosso i vestiti di scena. Sirene a violare il silenzio di una storia finita in un vicolo.

Piero il Re del caos



Piero il Re del caos
di
Marco Fenudi



Mentre era in coda alla cassa del supermercato, uno dei tanti, forse troppi della sua città, Piero si sentiva stranamente calmo. Aveva appena cacciato via un pensiero, un quesito idiota che lo aveva rabbuiato chiedendogli se avesse preso il portafogli dal cruscotto della sua 124 Sport, quella reliquia di automobile - quasi un Ex-Voto - che utilizzava negli spostamenti.

Pensieri volanti


Pensieri volanti

di
Mario C. Borghi

 1.

«Amalia, senti, ma cosa ti passa per la testa? Tu devi fare unicamente ciò che dico io, non ammetto iniziative personali. Devi solo sparecchiare i tavoli dei nostri ospiti che se ne vanno senza farlo e pulirli con l’apposito igienizzante. Punto. Basta. Cos’è questa novità?»

Modesta passeggiata tra le strade e il ricordo della mia città


MODESTA PASSEGGIATA TRA LE STRADE E IL RICORDO DELLA MIA CITTA’


di
Daniela Petricci

E’ bello tornare nella tua città e vedere che non ti rifiuta, che ti riaccoglie, sentire che le onde del tuo amato mare sospirano “bentornata!”

Mat e Teg


MAT  E  TEG
di
Laura Piredda

Quando il sole sorgeva, ancora troppa brina teneva Teg fredda e bagnata. Dopo un paio d’ore si sarebbe potuta stiracchiare meglio.

L’equivoco


L’equivoco
di
Daniela Piras


Il passo di Marco era svelto e deciso mentre percorreva i vicoli umidi e scivolosi del centro storico della città. Quello stesso centro che, una quindicina di anni addietro, appariva ancora florido e vivo e che ora pareva lo spettro di se stesso.

Le nuove porte della vecchia Sassari, porta Rosello



Le nuove porte della vecchia Sassari, porta Rosello
di
Riccardo Mansani



A porta Rosello, di fronte alla facciata assolata della chiesa della SS Trinità c’è un piccolo bar, il vecchio Caffé Trinità. Ricavato nello spessore di ciò che resta delle antiche mura, è stato ristrutturato, anni fa, da una ditta di ferramenta come ricordano gli scontrini dove compare la scritta: “Elettro & Ferramenta Srl”.

La notte di un sognatore


La notte di un sognatore
di
Francesco Bilotta

Ricordo di quella notte il cielo terso e stellato dove brillava uno spicchio di luna, la brezza leggera e il profumo dell'aria che annunciava la primavera.

La fuga


LA FUGA
di
Manuel Matta


La prima sensazione fu d'incredibile tranquillità e pacatezza apparente, da me, uomo d'oltre quarant'anni, intento a fare il nulla. Poco prima che arrivaste, sedevo su di una panchina in legno chiaro d'assi distaccate e d'antica pittura verde.

La città dei sogni infranti


LA CITTÀ DEI SOGNI INFRANTI
di
Rachele Puddu

Mi sveglio di scatto disturbata da un rumore indistinto proveniente dall’esterno. Mi ritrovo con la testa ai piedi del letto, il libro aperto, le lenzuola a terra e mi rendo conto di essere rimasta sveglia sino a tardi, forse per i troppi pensieri;

La città dei musicisti


LA CITTÀ DEI MUSICISTI
di
Andrea Pirellas


Non ricordo il suo nome ma per me è rimasta viva nella memoria come la città dei musicisti. Quando vidi questa città avevo diciotto anni, nel pieno della curiosità e della voglia di apprendere, tanto dagli adulti quanto dalle cose che mi circondavano.

La città celeste


LA CITTA’ CELESTE
di
Annalisa Costa
    «Ehi, dico a te, credi davvero di averci pensato solo tu? Guarda che anch’io qualche volta penso di avere una mia visione, di essere un profeta, una che sa dove andremo a finire.

Il mio sogno si è avverato


Il mio sogno si è avverato
Di
Laura Niolu
  
   Eccomi qui dunque. Circostanza già più volte immaginata: sprofondare nelle viscere della terra, piuttosto che trovarmi come il tenente Drogo ad attendere un riscatto che non arriverà mai.

Il cuore nei vicoli


Il cuore nei vicoli
Di
Simone Azzu
Ed è l'umanità
nelle sue vecchie mura
che resiste ad ogni usura
del cuore senza età.



Quando zio Riccardo era ormai coperto di fiori, ed attorno a lui le camminate erano
lente e nere, Luca indossò la sua giacca per l'occasione ed uscì dalla chiesa.

I sorrisi rubati dal tempo


I SORRISI RUBATI DAL TEMPO
Di
Federica Ruttino

Sara quella notte non riusciva a dormire, continuava a girarsi tra le lenzuola bianche appena lavate del suo lettino senza trovare una posizione comoda per prendere sonno.

Gli ultimi giorni di novembre


Gli ultimi giorni di novembre
Di
Giorgio Noli

L’isola di Santa Rita ha spesso un cappello di nuvole schiacciato sulla cresta, a farla sembrare più alta, più difficilmente sormontabile, almeno a guardarla dalla terrazza di Vittorio, dove proprio in questi giorni inaspettata fiorisce qualche fresia.

Giorni sporchi


GIORNI SPORCHI
di Chiara Boi
 Questo posto non deve morire

I sogni sono la cosa più bella che una persona può avere.  Possedere una qualche aspettativa, un qualche progetto ti aiuta a vedere il mondo come un posto dove puoi realizzarti.

Gentrify


Gentrify

di 
Maria Letizia Mereu

                                                                                                                                                    
Un mese dopo aver firmato il contratto mi sono trasferita a Fonsarda.

Diariaccio


Diariaccio
di
Davide Ferreri
Ci risiamo, la vita senza un soldo è una storiaccia. Tredici mesi di lavoro ininterrotto e ho sperperato tutto, per lo più in cibo e sigarette.

Branco da marciapiede


Branco da marciapiede
di 
Luisella Sassu

In un pomeriggio uguale a tanti altri, Luca cacciò il sole oltre le persiane e protetto dal buio si barricò nella cameretta. Il suo corpo, arrotolato come un bruco non ancora pronto ad affrontare il percorso di crescita, cadde sulle coperte senza fare rumore.

Anche in piena estate


Anche in piena estate
di 
Francesca Piras

Anche in piena estate il sole non permetteva a quella cittadina di splendere e brillare a pieno, rimaneva ugualmente cupa, grigia, e fredda. Ci troviamo in una quasi dimenticata cittadina Inglese, il cui nome non sarà svelato.

Alla ricerca di Krypton


Alla ricerca di Krypton.
di Carla Cadinu


Se mi dovessero chiedere di fare una considerazione generale sulla mia esistenza risponderei che è un successo; ho realizzato, di fatto, ciò a cui aspiravo:

Ali osservava quella città


Ali osservava quella città
di 
Irene Zedda
Ali osservava quella città come si guarda un mare al tramonto. La sua vita era sempre stata difficile. Non aveva mai conosciuto la pace di un posto dove poteva sentirsi a casa.

Accadde un venerdì


Accadde un venerdì
di
Nicola Careddu


Anna aveva appena strappato la tasca del suo paltò, ed era piuttosto infastidita dalla cosa. Le era già successo, sempre di venerdì, e sempre per via di quei maledetti paletti arrugginiti, vecchi soldatini posti ad impettita ed inutile difesa del marciapiede.

A felicidade


A FELICIDADE
di 
Guido Pegna

         “Guidavo lentamente lungo la tortuosa strada in salita che porta al belvedere di Monte Urpinu.  Il chiacchiericcio ininterrotto di mia moglie al telefonino con qualche amica mi impediva di pensare.

Così è un racconto sulla città


Così è un racconto sulla città
Di
Ignazio Fresu
menzione


-Così è un racconto sulla città.

-Sì, lo so. Entro la prossima settimana, me lo ha detto tua madre. Chissà perché avrà pensato proprio a me per darti qualche consiglio.

-No, non penso avesse desiderio di sentirmi. Forse per sapere come sto, così; un pretesto, per scoprire se mi serve qualcosa, con discrezione. O forse mi avrà davvero creduto un esperto di città. Mi ha sempre attribuito doti che non avevo, e vizi che non avevo. Tranne uno, magari. I bar li conosco tutti, da qui ai quartieri alti, ma questo non vuol dire che sia un esperto di quello che ci sta intorno. Così, su due piedi, che idee posso darti? Non sono  uno scrittore.

-Sì, certo, ho viaggiato molto. E ho visto anche molte città, anzi, troppe. Le più belle le ho viste con lei. E anche le più tristi. Ma forse ora confondo le due qualità. E in ogni città trovavamo un posto che ci sembrava meraviglioso, meraviglioso e familiare: niente di speciale, magari una stretta strada acciottolata, una piazzetta con un bello scorcio in un centro storico: soltanto un angolo di tranquillità. Andare in quel luogo diventava come un rito, volta dopo volta; sì, perché spesso siamo tornati nelle stesse città. Anzi, per quanto potessimo viaggiare per luoghi non ancora visitati, non potevamo mai mancare, una due volte l’anno, di passare per una di quelle città in cui ci sentivamo come a casa. Perché in qualche città, se la vedi già una seconda volta, ti senti come a casa, anche se non c’è nessuno da chiamare, o da andare a salutare, se non una vecchia commessa d’una improbabile bottega, o qualche azzimato cameriere d’un ristorante fuori moda. Ricordo la discesa di Rua Garret, una via pedonale di Lisbona, la favorita. Ci siamo tornati chissà quante volte, e non ci sentivamo ‘a casa’ se non passavamo per quella via… Ma questo adesso non ha importanza. Pensiamo a te e al tuo racconto. Non sei venuta per questo? Il consiglio che ti posso dare, non prenderla per una scortesia, è di andartene in giro e vedere un po’ gente e di case. Entra nei portoni, spia dalle finestre…

-No, non ho detto di levarti dai piedi. È solo il mio consiglio, stammi a sentire… Prosegui per questa via acciottolata, fino ad arrivare alla strada principale, quella con tutti i negozi…

-Sì, hai capito bene. Vai in giro, guardi i palazzi, le ville, cerchi di immaginarti come sono dentro, le persone che ci abitano… Di sicuro un’ idea per il tuo racconto ti verrà in mente. In una città le persone sono importanti, ma anche le case ti possono suggerire molto. Case qualsiasi: che siano gli appartamenti di quel palazzo anni ‘30 laggiù, le ville Liberty circondate dai giardini nei quartieri alti o una palazzina anni ’50 come quella di questo bar. Qualcuno le ha fatte, le case, qualcuno ci ha passato la vita. E’ più facile, non so perché, pensare a quelli che non ci sono più che agli attuali occupanti. Forse è solo meno triste. A proposito, perché non inizi chiedendo qualche informazione al barista, quel signore là. Certo, non è che abbia una bella faccia, specialmente quando ti guarda… Oppure no, forse è meglio di no. Chissà che direbbe tua madre… Mi sembra sia stato anche in mezzo a una storia di minorenni… Dai, guarda che sto scherzando. Ricordo che a lei piaceva molto, in una città, guardare le case. Anzi, era la cosa che preferiva. Quando viaggiavamo.

-Ah, lo fa sempre. Sono contento. Ricordo le ore trascorse a girare per le città guardando facciate, balconi, finestre… Ma non perdiamo tempo. Dopo le case, penso che in un racconto sulla città ci vogliano le piazze. Le piazze dove la gente si incontra, passeggia. Però non quelle piazze grandi, come quella là dietro, alla fine di quella strada dietro l’angolo, che può essere solo così desolata e vuota da farti sentire solo, mentre torni verso casa nella sera, o affollatissima, quasi da non riuscire a respirare, e allora ti senti ancora più solo. Meglio le piazze come questa qua, davanti ai tavolini, oltre la veranda. Una piazzetta piccola, stretta, magari con qualche signore che chiacchiera al fresco davanti al portone di casa. Proprio come quelli là, dietro quel cespuglio basso. Li vedi?

-No, a me non sembra che si annoino. Di sicuro parlano di come sta cambiando la città in questi ultimi tempi, dei bar in cui si sono consumate le loro partite di mariglia, dei locali che gli erano cari e che ormai hanno chiuso… E’ patetico, lo so, ma non hanno tutti i torti. È difficile incontrare ancora qualcuno per strada che passeggia. La città sta morendo: le case, le vie, le piazze, ogni cosa, in una città, senza la gente, gli abitanti, è destinata a scomparire... Senti, forse è meglio se arrivi in quella piazza là dietro, oltre quelle case di tufo: vedi qualche faccia, qualche casa; magari ti fanno venire qualche idea.

-Come? Non ci sei mai andata? È un bel posto, tranquillo…

-Forse hai ragione. Ormai è tardi, non c’è quasi più nessuno in giro. Forse è meglio che ti accompagni.

-Scusi? Pago il conto. Tenga pure il resto.

-Eccoci qua. Come ti sembra?

-Già, è proprio deserta. All’inizio è quasi piacevole stare qui da soli, poi però ti viene voglia di vedere qualcuno, uno qualsiasi. Non so perché mi piace tanto: forse per quell’albero d’arancio là in mezzo, o magari perché è così tranquilla. Sta già imbrunendo, tra un po’ dovrebbero accendere quel lampione là in mezzo.

-No, non è triste questa piazza, anzi… Ogni volta che vengo qua mi dà come un’idea di sospensione, come che qui il tempo non riuscisse a far sentire la sua necessità. Qui ancora resistono almeno un paio di bottegai, poi c’è  quella taverna che ancora qualcuno frequenta.  Sembra quasi di viaggiare. Sì, perché quando sei in viaggio il tempo quasi non ti sfiora… Ecco un’altra idea per il tuo racconto. Te l’ho detto, sì, che le case, le piazze, le persone sono importanti, ma in una città, ciò che davvero conta è l’aria.

-No, non è l’aria che respiri. È una sensazione, una successione di pensieri che una città ti suggerisce. Forse tutti i luoghi hanno un’atmosfera, ma in una città la senti dentro di te, l’atmosfera… che poi è una parola frivola, di quelle che usano gli uomini frivoli.

-Bella domanda… È difficile dire che cosa dia atmosfera a una città. Forse sono le vie, le case, le piazze… Ma c’è anche qualcos’altro, qualcosa di indefinibile. È proprio per la sua atmosfera che tua madre voleva spesso tornare nella stessa città. Non ci trovava solo un luogo speciale, ma anche un’atmosfera speciale. Li ricordo bene quei viaggi a Lisbona. Quella città aveva un’atmosfera che ti faceva sentire come a casa: quasi un’abitudine rientrare la sera all’alzarsi della nebbia, dalla zona bassa fino al nostro hotel. Penso che quella fosse davvero la felicità. Non so perché Lisbona abbia quest’aria. Forse per la gente, che col suo accento riempiva ogni luogo e non potevi fare a meno di ascoltare la sua lingua musicale, non so…

-Penso proprio di sì. Se tornassi, troverei ancora quella stessa atmosfera, dopotutto sono passati solo pochi anni, un po’ più di quelli che hai tu.

-Sì, anche questa città l’avrà pure avuta un’atmosfera, un tempo. L’atmosfera la fanno le vie, le case, le piazze… Ma vie case e piazze sono come le vogliono le persone. Ora è raro incontrare qualcuno per queste strade, se ne stanno chiusi in casa, o è come se non ci fossero. I negozi chiudono, le persone se ne vanno, e la città diventa una noce vuota, una casa di cui resta solo la facciata. L’atmosfera è importante, ma se vuoi raccontare di questa città, devi parlare di un’atmosfera che fugge, e che nessuno rincorre…Ma ora non ha più senso parlare di queste cose,  il cielo si fa scuro, e quel lampione là in mezzo non s’è acceso… Ormai è notte, è meglio che rientri.

-Sì, forse è meglio non pensarci, e conservarne il ricordo, come si dice dei malati che non si ha voglia di vedere.


-Ah, un’ultima cosa, nel caso ti venisse la tentazione: non mettermi nel tuo racconto. E torna a trovarmi, se ti va.

A tenore


A TENORE
Di
Luca Dore
menzione
SU BASSU
Problemi in macchina dodici. Gli hertz in uscita vanno aumentando man mano che la valvola di sfiato perde condensa. Sarà riparata durante la notte da alcuni crumiri cingalesi cui non importa niente della semifinale Argentina-Inghilterra. Ma nemmeno loro sospetteranno qualcosa. Né questi poveri cristi polacchi, né i turchi, né tantomeno gli altri italiani.  L’importante è non farne bocca con nessuno - al circolo dei nostri, per esempio - per non passare per i soliti sabotatori sardi e ritrovarsi a Elmas in meno di tre ore. Nessuno deve soprattutto sospettare di me, quello che quando entra il principale si aggiunge puntuale al coro dei gutenmorghen, pur sapendo che lui - vanesio e presuntuoso - pretenderebbe un più remissivo, quotidiano vielen-dank, per aver riempito il suo capannone di turchi, di polacchi, di sardi, di poveri. E perché se ogni giorno noi camminiamo con le scarpe grosse sulle strade di Krautenburg lo dobbiamo a lui. Correrà per sindaco, l’anno prossimo. C’è da scommettere che si è dannato l’anima per farci votare, noi sardi, noi polacchi, noi turchi, ma il ministro ha considerato la sua proposta alla stregua di un rutto e perciò farà a meno dei nostri voti. È un sollievo: Krautenburg non merita un sindaco come lui; non merita questo suonatore di sigari che ha ragione solo quando dice che la città ci sopporta, come una vera madre che guarda pietosa le nostre camicie della festa a Beidenplatz e sorride; c’è sempre un bar, un pub, un peep-show che permette anche il nostro ingresso; c’è un viale alberato grande quanto il nostro paese d’origine con panchine sufficienti a contenere i forestieri, senza avere grane; c’è gente disposta a offrirci cartoncini per la festa più appariscente dell’estate 86. Adoro la città e dopo dieci mesi posso affermare - e sarei in grado di urlarlo in faccia al caro presidente del circolo dei sardi - che niente mi manca della nostra bella bidda svuotata. Alla pausa della macchina dodici, quando vado a sedere in sala tornio, ogni tanto chiudo gli occhi e torno a casa; sai che favola: le secchiate d’acqua fredda sull’asfalto, le nuove cabine telefoniche, lo spostarsi delle betoniere. Solo la musica mi manca. Non che qua non ce ne sia. Verranno anche i Kiss a Krautenburg; e poi c’è un tizio che vende strumenti musicali in Beidenstrasse e te li fa provare senza per forza acquistarli.
Ma la musica che porta il vento, quella mi manca.
SA CONTRA
Impiegherò tre mosse a far incazzare il presidente. Di solito ci vuole meno. Perché lui è quello che si presenterà in casa mia con le fotocopie belle e pronte per la squadra e quando gli dirò: «No, io non ci gioco a calcetto», mi guarderà male, ma avrà ancora una riserva da litro di buonumore da far evaporare. Allora gli dirò: «E poi il calcio è morto all’Aisèl, zio Nì. Già un anno; che dopo tutti quei morti il calcio gliene frega più niente a nessuno». Qui gli si sgonfierà lo zigomo destro e tornerà serio, ma peggio per lui; se ne starà ancora coi fogli davanti agli occhi a dirmi di firmare, che mi avrebbero dato la dieci, «…la maglia di Platini, ajò. Ite ti costat?» cosa mi costa? mi costa che anziché andare a Beidenplatz in mezzo alla calca di gambe nude e ragazze pettinate, mi tocca prendere freddo al circolo dei sardi, mi tocca. «E poi, zì, io non vado cercando il riscatto dell’emigrante. A me mi piace stare qui; non mi manca sa bidda». Bom! Kaput! - seguirà simulazione d’infarto. E diventerà rosso e griderà: «Cozzone». Accenderò il registratore e lui mi dirà con quel fischio dell’angina che ricorda un gregge: «sa bidda nostra...» parlerà a pezzi «Se ti sentono al circolo ti squalificano», rantolerà. Che paura! Essere squalificati dal circolo dei sardi… «e cosa mi fanno? Mi tolgono uno dei quattro mori dal cappellino?» e lui riesumerà la vecchia litania dell’emigrante di prima generazione: «…che noi siamo quelli che per fare arrivare voi al diploma, il pollo ci durava una settimana»; la voce di zio Nino prenderà rabbiose sfumature di raglio e poi nuovamente di ovini e dirò altre cose non vere, cose cattive, pur di non farlo smettere. Solo quando se ne andrà con la sua speciale onta di famiglia disegnata nella bocca, sarò soddisfatto; prenderò la cassetta e uscirò verso Beidenplatz, da dove si vede tutta la città, dove tutti ti guardano e nessuno ti cerca.
SA MESU-BOGHE
Alla fine, è stata la nostalgia a farmi agire. Come accade ad altri, fuggiti dalla miseria, così è accaduto a me. Invidia e nostalgia il carburante del futuro, come lo sono stati del passato. Una volta fatto questo starò senz’altro meglio: me l’ho promesso la notte scorsa di fronte al calvario di Italia - Francia zero a due. Ci credo e non ci credo alla promessa, come un malato agli elisir, ma tanto vale, male non farà. Cercherò la piazza più ventosa di tutta Krautenburg, la città dove nessuno ti guarda in faccia e tutto rimane nella splendida bolla salvifica dell’indifferenza. Quando stare dentro alla bolla ti fa sprofondare nell’esigenza di riscatto, ti fa infilare la maglia dell’emigrato Platini e giocare con rabbia, prima di tornare agli wohmheim con la coppa del torneo interrazziale. Stare nella bolla fa parlare l’acquavite dello zio Nino al posto tuo; scoprirti a dire: mi manca bidda mea e la sua piazza, unica e sola, le panchine segnate, il vuoto-a-rendere tutto ammucchiato, il saluto di tzia Grascia al ritorno dal cimitero per povero marito suo, l’odore della fregola nel sacco nella drogheria di Nunziatina. E MariaTeresa, che sta andando in quarta ragioneria a Sassari e non ti scrive da due settimane. E vedi le donne turche, le polacche sposate, le autoctone in macchina arrivare a Beidenplatz, le troie additate dagli studenti di lingue, le commesse a far la fila per un birra-crauti, i tossici a ovest del monumento.
Beidenplatz è il posto. Dove il vento porta e trattiene il dolore e la vanità.
Sarà davvero questa l’azione antidoto alla mia malinconia? A saperlo. Infilo la maglietta gialla, quella che l’altra sera indossavo per la festa del forestiero, quando per ore siamo stati sommersi dai primi cinque dischi in classifica. Duran Duran (4 volte), Europe (9 volte), Gente di mare (a sfinimento). Secondo loro, questi sono i nostri gusti? o questi sarebbe meglio che fossero? Una festa per noi che abbiamo lasciato la bidda perché non potevamo fare altrimenti, organizzata dai giovani figli nati in terra anzena da chi aveva lasciato la bidda perché non poteva fare altrimenti. C’è un buco nel mezzo, fratelli. E continuerò a caderci battendo alle pareti del pozzo, finché la nostalgia non sarà scacciata.
SA BOGHE
Nemmeno quando appoggio il microfono per terra e piazzo l’asta al centro di Beidenplatz, sulla testa del soldato di marmo; né quando scendo e attacco le casse con un pak!, nemmeno allora la gente mi vede. Solo adesso che il vento puzzolente di fabbriche fa il rumore che cercavo e la gente se lo sente sputare fuori dalle Marshall, allora mi notano e io son quello col dito alzato.
Alle sette c’è mezza città in Beidenplatz. Nessuno, nemmeno il vigile cattivo, è riuscito a farmi scendere dal monumento ed è arrivato un giornalista del Kblitz a farmi la foto. Collego un Behringer 6 canali, mixer di ultima generazione, alla cassa nera, prima di allontanarmi. Lascio tutto incustodito e torno col carrello dove, ancora addormentata, sta la macchina dodici, vecchia carcassa aerea che ha scoperto una nuova vita civile in questo infinito dopoguerra che si trascina fino a noi, edonisti ragazzi di oggi noi.
Collego la macchina dodici al mixer e il mixer alle casse. Portando le sue valvole allo stremo, quella latta infernale è capace di produrre un suono ancestrale, come di armenti in transumanza. Muggiti mescolati alla strigliata del pastore, un bom fisso e intestinale, che tiene la nota. Costei, la macchina dodici, altro non è che su Bassu. Ma solo sollevando il volume allo spasmo è possibile ottenere il risultato migliore.
Intanto il vento, lo stesso vento che magari due tre giorni fa ha stagnato sulla nostra terra, adesso si infila nella bocca del microfono e sembra che tutti, solo allora, si accorgano del vento, e di un ragazzo con la maglietta gialla che dorme nei wohmheim. In questo istante tutti sentono sa Mesu-boghe, senza sapere nemmeno cos’è. Un vibrato, un fischio, un diavolo ogni volta che il vento fa a spallate coi tetti, i cipressi, le ciminiere. Le auto a Beidenplatz sono state spente, che tutti stanno lì a sentire il bom e il leila-leila del grecale.
Quando mi avvicino, tenendo per mano la barista del Polky, tutti si chiedono quale sarà il suo ruolo. Le ho messo in mano il cavo del piccolo registratore comprato all’aeroporto-flughafen, e la invito a infilarne la punta nella cassa del vento, et voila, il tutto si confonde. La voce di zio Nino, come un fastidioso ma intonato belare di greggi, quel fischio rugginoso di polmoni destinati a certa silicosi: è un chiaro esempio di Contra; ora la ritmica è completa.
C’è il bom e il leila-leila e ora c’è il bim-bai. La bionda ha ricevuto un applauso strafottente, ma io le tengo ancora la mano, per non metterla in imbarazzo. E le concedo l’onore, sul palcoscenico naturale che è la mia vergogna in piazza, di dire qualunque cosa abbia in mente e lei dice “Tutti al Polky stasera” e ogni autoctono o oriundo che sia, infilando la bocca nel microfono, emette suoni stonati, sfrontati, rutti e singhiozzi che io reinventerò a mio esclusivo piacere, facendone muttettos e bogh’e notte, serenate e canzoni, balli della festa e a boghe seria, mentre su Bassu bom, sa Contra bim-bai, sa mesu-boghe ehia ehia, le parole dell’uomo, di ogni uomo, sardo, turco, polacco o vigile indignato si fondono a tenore.

Ecco il nostro omaggio a te, fermezza e razionalità, tecnica e freddezza. Eccoci, città del progresso, offrirti quello che solo mancava al tuo quadrato di strade ordinate e spazzate: il suono della vita nella notte dei tempi.