venerdì 6 giugno 2014

Così è un racconto sulla città


Così è un racconto sulla città
Di
Ignazio Fresu
menzione


-Così è un racconto sulla città.

-Sì, lo so. Entro la prossima settimana, me lo ha detto tua madre. Chissà perché avrà pensato proprio a me per darti qualche consiglio.

-No, non penso avesse desiderio di sentirmi. Forse per sapere come sto, così; un pretesto, per scoprire se mi serve qualcosa, con discrezione. O forse mi avrà davvero creduto un esperto di città. Mi ha sempre attribuito doti che non avevo, e vizi che non avevo. Tranne uno, magari. I bar li conosco tutti, da qui ai quartieri alti, ma questo non vuol dire che sia un esperto di quello che ci sta intorno. Così, su due piedi, che idee posso darti? Non sono  uno scrittore.

-Sì, certo, ho viaggiato molto. E ho visto anche molte città, anzi, troppe. Le più belle le ho viste con lei. E anche le più tristi. Ma forse ora confondo le due qualità. E in ogni città trovavamo un posto che ci sembrava meraviglioso, meraviglioso e familiare: niente di speciale, magari una stretta strada acciottolata, una piazzetta con un bello scorcio in un centro storico: soltanto un angolo di tranquillità. Andare in quel luogo diventava come un rito, volta dopo volta; sì, perché spesso siamo tornati nelle stesse città. Anzi, per quanto potessimo viaggiare per luoghi non ancora visitati, non potevamo mai mancare, una due volte l’anno, di passare per una di quelle città in cui ci sentivamo come a casa. Perché in qualche città, se la vedi già una seconda volta, ti senti come a casa, anche se non c’è nessuno da chiamare, o da andare a salutare, se non una vecchia commessa d’una improbabile bottega, o qualche azzimato cameriere d’un ristorante fuori moda. Ricordo la discesa di Rua Garret, una via pedonale di Lisbona, la favorita. Ci siamo tornati chissà quante volte, e non ci sentivamo ‘a casa’ se non passavamo per quella via… Ma questo adesso non ha importanza. Pensiamo a te e al tuo racconto. Non sei venuta per questo? Il consiglio che ti posso dare, non prenderla per una scortesia, è di andartene in giro e vedere un po’ gente e di case. Entra nei portoni, spia dalle finestre…

-No, non ho detto di levarti dai piedi. È solo il mio consiglio, stammi a sentire… Prosegui per questa via acciottolata, fino ad arrivare alla strada principale, quella con tutti i negozi…

-Sì, hai capito bene. Vai in giro, guardi i palazzi, le ville, cerchi di immaginarti come sono dentro, le persone che ci abitano… Di sicuro un’ idea per il tuo racconto ti verrà in mente. In una città le persone sono importanti, ma anche le case ti possono suggerire molto. Case qualsiasi: che siano gli appartamenti di quel palazzo anni ‘30 laggiù, le ville Liberty circondate dai giardini nei quartieri alti o una palazzina anni ’50 come quella di questo bar. Qualcuno le ha fatte, le case, qualcuno ci ha passato la vita. E’ più facile, non so perché, pensare a quelli che non ci sono più che agli attuali occupanti. Forse è solo meno triste. A proposito, perché non inizi chiedendo qualche informazione al barista, quel signore là. Certo, non è che abbia una bella faccia, specialmente quando ti guarda… Oppure no, forse è meglio di no. Chissà che direbbe tua madre… Mi sembra sia stato anche in mezzo a una storia di minorenni… Dai, guarda che sto scherzando. Ricordo che a lei piaceva molto, in una città, guardare le case. Anzi, era la cosa che preferiva. Quando viaggiavamo.

-Ah, lo fa sempre. Sono contento. Ricordo le ore trascorse a girare per le città guardando facciate, balconi, finestre… Ma non perdiamo tempo. Dopo le case, penso che in un racconto sulla città ci vogliano le piazze. Le piazze dove la gente si incontra, passeggia. Però non quelle piazze grandi, come quella là dietro, alla fine di quella strada dietro l’angolo, che può essere solo così desolata e vuota da farti sentire solo, mentre torni verso casa nella sera, o affollatissima, quasi da non riuscire a respirare, e allora ti senti ancora più solo. Meglio le piazze come questa qua, davanti ai tavolini, oltre la veranda. Una piazzetta piccola, stretta, magari con qualche signore che chiacchiera al fresco davanti al portone di casa. Proprio come quelli là, dietro quel cespuglio basso. Li vedi?

-No, a me non sembra che si annoino. Di sicuro parlano di come sta cambiando la città in questi ultimi tempi, dei bar in cui si sono consumate le loro partite di mariglia, dei locali che gli erano cari e che ormai hanno chiuso… E’ patetico, lo so, ma non hanno tutti i torti. È difficile incontrare ancora qualcuno per strada che passeggia. La città sta morendo: le case, le vie, le piazze, ogni cosa, in una città, senza la gente, gli abitanti, è destinata a scomparire... Senti, forse è meglio se arrivi in quella piazza là dietro, oltre quelle case di tufo: vedi qualche faccia, qualche casa; magari ti fanno venire qualche idea.

-Come? Non ci sei mai andata? È un bel posto, tranquillo…

-Forse hai ragione. Ormai è tardi, non c’è quasi più nessuno in giro. Forse è meglio che ti accompagni.

-Scusi? Pago il conto. Tenga pure il resto.

-Eccoci qua. Come ti sembra?

-Già, è proprio deserta. All’inizio è quasi piacevole stare qui da soli, poi però ti viene voglia di vedere qualcuno, uno qualsiasi. Non so perché mi piace tanto: forse per quell’albero d’arancio là in mezzo, o magari perché è così tranquilla. Sta già imbrunendo, tra un po’ dovrebbero accendere quel lampione là in mezzo.

-No, non è triste questa piazza, anzi… Ogni volta che vengo qua mi dà come un’idea di sospensione, come che qui il tempo non riuscisse a far sentire la sua necessità. Qui ancora resistono almeno un paio di bottegai, poi c’è  quella taverna che ancora qualcuno frequenta.  Sembra quasi di viaggiare. Sì, perché quando sei in viaggio il tempo quasi non ti sfiora… Ecco un’altra idea per il tuo racconto. Te l’ho detto, sì, che le case, le piazze, le persone sono importanti, ma in una città, ciò che davvero conta è l’aria.

-No, non è l’aria che respiri. È una sensazione, una successione di pensieri che una città ti suggerisce. Forse tutti i luoghi hanno un’atmosfera, ma in una città la senti dentro di te, l’atmosfera… che poi è una parola frivola, di quelle che usano gli uomini frivoli.

-Bella domanda… È difficile dire che cosa dia atmosfera a una città. Forse sono le vie, le case, le piazze… Ma c’è anche qualcos’altro, qualcosa di indefinibile. È proprio per la sua atmosfera che tua madre voleva spesso tornare nella stessa città. Non ci trovava solo un luogo speciale, ma anche un’atmosfera speciale. Li ricordo bene quei viaggi a Lisbona. Quella città aveva un’atmosfera che ti faceva sentire come a casa: quasi un’abitudine rientrare la sera all’alzarsi della nebbia, dalla zona bassa fino al nostro hotel. Penso che quella fosse davvero la felicità. Non so perché Lisbona abbia quest’aria. Forse per la gente, che col suo accento riempiva ogni luogo e non potevi fare a meno di ascoltare la sua lingua musicale, non so…

-Penso proprio di sì. Se tornassi, troverei ancora quella stessa atmosfera, dopotutto sono passati solo pochi anni, un po’ più di quelli che hai tu.

-Sì, anche questa città l’avrà pure avuta un’atmosfera, un tempo. L’atmosfera la fanno le vie, le case, le piazze… Ma vie case e piazze sono come le vogliono le persone. Ora è raro incontrare qualcuno per queste strade, se ne stanno chiusi in casa, o è come se non ci fossero. I negozi chiudono, le persone se ne vanno, e la città diventa una noce vuota, una casa di cui resta solo la facciata. L’atmosfera è importante, ma se vuoi raccontare di questa città, devi parlare di un’atmosfera che fugge, e che nessuno rincorre…Ma ora non ha più senso parlare di queste cose,  il cielo si fa scuro, e quel lampione là in mezzo non s’è acceso… Ormai è notte, è meglio che rientri.

-Sì, forse è meglio non pensarci, e conservarne il ricordo, come si dice dei malati che non si ha voglia di vedere.


-Ah, un’ultima cosa, nel caso ti venisse la tentazione: non mettermi nel tuo racconto. E torna a trovarmi, se ti va.

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