Così è un racconto sulla città
Di
Ignazio Fresu
menzione
-Così
è un racconto sulla città.
-Sì,
lo so. Entro la prossima settimana, me lo ha detto tua madre. Chissà perché
avrà pensato proprio a me per darti qualche consiglio.
-No,
non penso avesse desiderio di sentirmi. Forse per sapere come sto, così; un
pretesto, per scoprire se mi serve qualcosa, con discrezione. O forse mi avrà
davvero creduto un esperto di città. Mi ha sempre attribuito doti che non
avevo, e vizi che non avevo. Tranne uno, magari. I bar li conosco tutti, da qui
ai quartieri alti, ma questo non vuol dire che sia un esperto di quello che ci sta
intorno. Così, su due piedi, che idee posso darti? Non sono uno scrittore.
-Sì,
certo, ho viaggiato molto. E ho visto anche molte città, anzi, troppe. Le più
belle le ho viste con lei. E anche le più tristi. Ma forse ora confondo le due
qualità. E in ogni città trovavamo un posto che ci sembrava meraviglioso,
meraviglioso e familiare: niente di speciale, magari una stretta strada
acciottolata, una piazzetta con un bello scorcio in un centro storico: soltanto
un angolo di tranquillità. Andare in quel luogo diventava come un rito, volta
dopo volta; sì, perché spesso siamo tornati nelle stesse città. Anzi, per
quanto potessimo viaggiare per luoghi non ancora visitati, non potevamo mai
mancare, una due volte l’anno, di passare per una di quelle città in cui ci
sentivamo come a casa. Perché in qualche città, se la vedi già una seconda
volta, ti senti come a casa, anche se non c’è nessuno da chiamare, o da andare
a salutare, se non una vecchia commessa d’una improbabile bottega, o qualche
azzimato cameriere d’un ristorante fuori moda. Ricordo la discesa di Rua
Garret, una via pedonale di Lisbona, la favorita. Ci siamo tornati chissà
quante volte, e non ci sentivamo ‘a casa’ se non passavamo per quella via… Ma
questo adesso non ha importanza. Pensiamo a te e al tuo racconto. Non sei
venuta per questo? Il consiglio che ti posso dare, non prenderla per una
scortesia, è di andartene in giro e vedere un po’ gente e di case. Entra nei
portoni, spia dalle finestre…
-No,
non ho detto di levarti dai piedi. È solo il mio consiglio, stammi a sentire…
Prosegui per questa via acciottolata, fino ad arrivare alla strada principale,
quella con tutti i negozi…
-Sì,
hai capito bene. Vai in giro, guardi i palazzi, le ville, cerchi di immaginarti
come sono dentro, le persone che ci abitano… Di sicuro un’ idea per il tuo
racconto ti verrà in mente. In una città le persone sono importanti, ma anche
le case ti possono suggerire molto. Case qualsiasi: che siano gli appartamenti
di quel palazzo anni ‘30 laggiù, le ville Liberty circondate dai giardini nei
quartieri alti o una palazzina anni ’50 come quella di questo bar. Qualcuno le
ha fatte, le case, qualcuno ci ha passato la vita. E’ più facile, non so
perché, pensare a quelli che non ci sono più che agli attuali occupanti. Forse
è solo meno triste. A proposito, perché non inizi chiedendo qualche
informazione al barista, quel signore là. Certo, non è che abbia una bella faccia,
specialmente quando ti guarda… Oppure no, forse è meglio di no. Chissà che
direbbe tua madre… Mi sembra sia stato anche in mezzo a una storia di minorenni…
Dai, guarda che sto scherzando. Ricordo che a lei piaceva molto, in una città,
guardare le case. Anzi, era la cosa che preferiva. Quando viaggiavamo.
-Ah,
lo fa sempre. Sono contento. Ricordo le ore trascorse a girare per le città
guardando facciate, balconi, finestre… Ma non perdiamo tempo. Dopo le case,
penso che in un racconto sulla città ci vogliano le piazze. Le piazze dove la
gente si incontra, passeggia. Però non quelle piazze grandi, come quella là
dietro, alla fine di quella strada dietro l’angolo, che può essere solo così desolata
e vuota da farti sentire solo, mentre torni verso casa nella sera, o
affollatissima, quasi da non riuscire a respirare, e allora ti senti ancora più
solo. Meglio le piazze come questa qua, davanti ai tavolini, oltre la veranda.
Una piazzetta piccola, stretta, magari con qualche signore che chiacchiera al
fresco davanti al portone di casa. Proprio come quelli là, dietro quel
cespuglio basso. Li vedi?
-No,
a me non sembra che si annoino. Di sicuro parlano di come sta cambiando la
città in questi ultimi tempi, dei bar in cui si sono consumate le loro partite
di mariglia, dei locali che gli erano cari e che ormai hanno chiuso… E’
patetico, lo so, ma non hanno tutti i torti. È difficile incontrare ancora
qualcuno per strada che passeggia. La città sta morendo: le case, le vie, le
piazze, ogni cosa, in una città, senza la gente, gli abitanti, è destinata a scomparire...
Senti, forse è meglio se arrivi in quella piazza là dietro, oltre quelle case
di tufo: vedi qualche faccia, qualche casa; magari ti fanno venire qualche idea.
-Come?
Non ci sei mai andata? È un bel posto, tranquillo…
-Forse
hai ragione. Ormai è tardi, non c’è quasi più nessuno in giro. Forse è meglio
che ti accompagni.
-Scusi?
Pago il conto. Tenga pure il resto.
-Eccoci
qua. Come ti sembra?
-Già,
è proprio deserta. All’inizio è quasi piacevole stare qui da soli, poi però ti
viene voglia di vedere qualcuno, uno qualsiasi. Non so perché mi piace tanto:
forse per quell’albero d’arancio là in mezzo, o magari perché è così
tranquilla. Sta già imbrunendo, tra un po’ dovrebbero accendere quel lampione
là in mezzo.
-No,
non è triste questa piazza, anzi… Ogni volta che vengo qua mi dà come un’idea
di sospensione, come che qui il tempo non riuscisse a far sentire la sua
necessità. Qui ancora resistono almeno un paio di bottegai, poi c’è quella taverna che ancora qualcuno frequenta.
Sembra quasi di viaggiare. Sì, perché
quando sei in viaggio il tempo quasi non ti sfiora… Ecco un’altra idea per il
tuo racconto. Te l’ho detto, sì, che le case, le piazze, le persone sono
importanti, ma in una città, ciò che davvero conta è l’aria.
-No,
non è l’aria che respiri. È una sensazione, una successione di pensieri che una
città ti suggerisce. Forse tutti i luoghi hanno un’atmosfera, ma in una città
la senti dentro di te, l’atmosfera… che poi è una parola frivola, di quelle che
usano gli uomini frivoli.
-Bella
domanda… È difficile dire che cosa dia atmosfera a una città. Forse sono le vie,
le case, le piazze… Ma c’è anche qualcos’altro, qualcosa di indefinibile. È
proprio per la sua atmosfera che tua madre voleva spesso tornare nella stessa
città. Non ci trovava solo un luogo speciale, ma anche un’atmosfera speciale.
Li ricordo bene quei viaggi a Lisbona. Quella città aveva un’atmosfera che ti
faceva sentire come a casa: quasi un’abitudine rientrare la sera all’alzarsi
della nebbia, dalla zona bassa fino al nostro hotel. Penso che quella fosse
davvero la felicità. Non so perché Lisbona abbia quest’aria. Forse per la
gente, che col suo accento riempiva ogni luogo e non potevi fare a meno di
ascoltare la sua lingua musicale, non so…
-Penso
proprio di sì. Se tornassi, troverei ancora quella stessa atmosfera, dopotutto
sono passati solo pochi anni, un po’ più di quelli che hai tu.
-Sì,
anche questa città l’avrà pure avuta un’atmosfera, un tempo. L’atmosfera la
fanno le vie, le case, le piazze… Ma vie case e piazze sono come le vogliono le
persone. Ora è raro incontrare qualcuno per queste strade, se ne stanno chiusi
in casa, o è come se non ci fossero. I negozi chiudono, le persone se ne vanno,
e la città diventa una noce vuota, una casa di cui resta solo la facciata. L’atmosfera
è importante, ma se vuoi raccontare di questa città, devi parlare di
un’atmosfera che fugge, e che nessuno rincorre…Ma ora non ha più senso parlare
di queste cose, il cielo si fa scuro, e
quel lampione là in mezzo non s’è acceso… Ormai è notte, è meglio che rientri.
-Sì,
forse è meglio non pensarci, e conservarne il ricordo, come si dice dei malati
che non si ha voglia di vedere.
-Ah,
un’ultima cosa, nel caso ti venisse la tentazione: non mettermi nel tuo
racconto. E torna a trovarmi, se ti va.
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