venerdì 6 giugno 2014

Storia di una burlesque


Storia di una burlesque
di
Giovanna Manca

La luna si affacciava su una pozza di sangue, lei giaceva per terra con ancora addosso i vestiti di scena. Sirene a violare il silenzio di una storia finita in un vicolo.

Un uomo raccontava all’ispettore che l’aveva trovata lì, e che sì, la conosceva bene perché lavorava nel suo locale. No, non faceva lo striptease. Proprio lei, no. La sua era un’arte, e ci sapeva fare, era brava a ironizzare sullo spogliarello. Lei non era come le altre, sapeva muoversi… ne avrebbe avuto da insegnare a quelle quattro oche che sanno solo muovere il culo! L’uomo guardava quelli della scientifica che eseguivano i rilievi, mentre una sigaretta gli penzolava dalle labbra sottili. Gli davano fastidio i flash che illuminavano il vicolo della mondezza, dei profilattici ancora pieni di storie vissute in tutta fretta.

…Non ne posso più! 853 miglia fa ero felice. Ora preferirei vivere nel buco del culo di un elefante piuttosto che continuare a stare qui!
All’improvviso una pioggia viscida e bianca sulla mia testa. Erano migliaia, si impadronivano dei miei capelli mi scivolavano negli occhi si insinuavano nelle narici tra le labbra. Ero paralizzata. Sentivo sadiche risate.  Corsi verso la fontana, con le mani gelide aprii il rubinetto e con disperazione, ficcai la testa sotto il getto dell’acqua ghiacciata e iniziai a strappare via quei maledetti vermi che brulicavano impunemente su di me come fossi carne marcia.
No, mia madre non deve sapere. Fine della storia.
Sono ostaggio di tre bullette perverse e bastarde. Sto a pezzi. Non voglio più andare a scuola. Le figlie del sindaco, del dirigente scolastico e dell’assessore. Intoccabili.
Nessun insegnante si schiererebbe dalla mia parte…

L’uomo rientrò nel suo locale insieme all’ispettore, le luci erano soffuse, il fumo aleggiava insistente come un personaggio che si rifiuta di lasciare la scena. In posti come questo bazzicano dall’uomo grassoccio con la bava alla bocca, al fumatore asfittico per il quale il cartello vietato fumare vale meno del suo annuncio funebre. Nel locale soltanto le spogliarelliste e il barista. Il palco era vuoto e l’uomo seduto al bancone con il suo whisky da quattro soldi raccontava:
«Una sera si è presentata qui, coperta come una suora, non le avrei dato un soldo bucato, invece lei mi propose uno spettacolo. Immagini le risate, figurarsi! Uno spettacolo per quattro bavosi che si accontentano di tette e culi senza tanti complimenti.
Pensavo fosse impazzita: burlesque in un merdaio come questo?
Lei mi disse che il burlesque è ironia, fantasia e innocenza misto a erotismo. Mica pornografia spicciola! Mi incuriosiva la sua determinazione, mi faceva ridere il suo aspetto buffo. Mi chiese di potersi esibire per tre serate, gratis. Se non fossi stato soddisfatto, sarebbe sparita.
La sera della prima esibizione si chiuse nel camerino, dopo un’ora uscì un’altra donna. Non l’avrei mai detto, e mi domandavo: ma che ci fa in questo posto di pervertiti e puttane a poco prezzo?  
Fu un successo. Da allora tutte le notti era qui a fare il tutto esaurito.»

…Ho fatto di tutto per passare inosservata. Invisibile, ecco cosa voglio essere. Nascondermi dentro jeans sformati e maglie extralarge non è servito a niente. Alla fine ho ceduto. Il peso delle umiliazioni era insopportabile. Ho raccontato tutto a mia madre. Fine della scuola.
Ma questi abiti informi mi si sono appiccicati addosso come una seconda pelle. Mi ci vorranno secoli di analisi per sciogliere tutta la rabbia che mi rode dentro.
Mia madre si sente in colpa per avermi trascinata qui. Dopo la morte improvvisa di mio padre, fuggì convinta che scappando oltreoceano il dolore svanisse. Mi chiede spesso di perdonarla.
Lei, una stilista di alta moda, si è ridotta a fare la sarta pur di lavorare qui. Ho soltanto lei e passo le giornate ad aspettarla. Ho imparato a cucire “ché non si sa mai” come dice lei. Fine della storia…

Le luci della città di notte si confondevano con l’incipiente alba, si avvicinava l’ora di chiusura del locale, ora in cui i nottambuli del fine settimana andavano a letto mentre gli altri si apprestavano ad alzarsi.
Il corpo era ancora disteso con la pozza di sangue attorno alla parrucca bionda. La vestaglia lasciava intravvedere segni dell’ultima esibizione, sul seno sinistro, il reverse della vestaglia scopriva un copri-capezzolo, le gambe erano lunghe e magre e i piedi infilati in scarpe con tacchi diciassette.
Le prime luci illuminavano la scena del crimine in attesa del medico legale. Teste facevano capolino dalla porta che conduceva al vicolo tra un “ poveretta ”e l’altro.
Le spogliarelliste rispondevano alle domande degli inquirenti, ma tutte concordavano sul fatto di aver visto la burlesque per l’ultima volta entrare nel suo camerino. Per tutti era andata via. Perché era così che faceva: fine dello spettacolo e via. Non si sapeva dove.

…Sono rimasta sola. Mia madre si è schiantata contro un camion. Sola. Continua a rimbombare nel mio cervello. Sola. Chiusa in queste quattro mura da quasi un mese. La luce dell’abat-jour che accendo all’imbrunire è l’unico segno di vita in questa casa. Sola. Passo tutto il giorno al computer a far scorrere le fotografie della mia famiglia: io, mia madre e mio padre.
Ripenso alla mia città, dove parlavo una lingua diversa, dove sentivo il calore dei miei amici, dei vicini di casa, dove tutto aveva un senso. Sola. 
Stasera mentre vagavo sulle strade del web ho visto un annuncio: “Tuffati nell’affascinante mondo del burlesque. Per informazioni sul corso telefonare al numero…” .
Curiosa indago.
Antichi amori vengono a galla. La nostalgia per le pirouette, il ronde de jambe e gli esercizi alla sbarra che tanto amavo, bussa con prepotenza nella mia notte buia… Avevo studiato danza per dieci anni prima di finire in questo inferno…
…Mi sento goffa, inadeguata, vorrei fuggire. Ma questo è un mondo diverso, magico, dove posso giocare e reinventarmi con ironia.
Guido tutti i giorni per due ore per raggiungere la città dove posso sfogare la mia anima burlesque. È come se fossi nata una seconda volta, partorita da un dolore che sembrava non darmi scampo e, tra guanti, boa di piume e corsetti, ho scoperto che potevo ancora ridere.
…Mentre cucio gli abiti di scena, rivedo mia madre in questi gesti, il suo sorriso mi accompagna mentre mi alleno con gli esercizi di danza.
I giorni non passano più, tra l’indecisione e la paura di affrontare questo nuovo sogno. Ho deciso per un locale notturno di spogliarello, abbastanza malfamato da mettere a tacere la scarsa fiducia che ho in me stessa…
Quando all’imbrunire le luci della città si accendono, il Red Hot si prepara a ospitare i suoi avventori. Quando le luci della città si spengono il Red Hot diventa bollente.

 …Era ormai sera, quando arrivai davanti alla porta del locale. L’insegna al neon illuminava a intermittenza la strada circostante. Un respiro profondo e entrai. All’interno il locale era ancora vuoto, soltanto una musica di sottofondo e il barista. Mi avvicinai e chiesi di poter parlare con il proprietario.
L’uomo mi squadrò con curiosità, annegando lo sguardo nei miei vestiti più grandi di una taglia. Sacrilega, in un posto dove era legge scoprire il più possibile.
Entrai nello studio. Dietro la scrivania un uomo sulla trentina, un bicchiere di whisky a metà e una sigaretta nel posacenere, con il fumo ancora vivo.
L’uomo mi spogliò con quegli occhi addestrati, e in quel momento capii che avrei dovuto osare di più.
Alla fine, l’uomo si accese un’altra sigaretta e, annoiato, la lasciò penzolare dall’angolo del labbro. “Hai sbagliato chiesa,” disse.
Non mi arresi. Mi sedetti e gli spiegai che volevo fare uno spettacolo di burlesque. Volevo accendere il suo locale come nessuna delle sue ragazze sarebbe mai riuscita. La sua risata riempì la stanza. Fu un sì. Fine della storia…
… Sono nel mio camerino, ho appena finito la mia prima esibizione. Gli applausi continuano.
Avevo i brividi, ma ce l’ho fatta: su un lato del palco una sedia. Un classico. Sono entrata in scena evitando di guardare il pubblico. Il forte odore di alcol mi ubriacava, il fumo mi  avvolgeva. Le decolleté argento tacco quindici sfioravano il parquet permettendomi passi di danza in perfetto equilibrio. Ero coperta da due grandi ventagli di piume blu. Andai al centro del palco, con un colpo secco buttai a terra i ventagli, come fossero due ali. Silenzio. Camminai sculettando verso la sedia, la trascinai al centro del palco, davanti ai ventagli, e mi sedetti di spalle al pubblico. Gancetto dopo gancetto, slacciai il bustino azzurro, inclinai la testa all’indietro, e iniziai a sfilare i guanti con i denti, prima uno poi l’altro. Sentivo respiri affannati sulla pelle, sguardi famelici, vogliosi. Mi alzai di scatto, e sempre di spalle, mi tolsi la gonna in tulle argento, e come un colpo di frusta la buttai a terra. Poggiai la gamba destra a novanta, sulla sedia, feci scivolare con gesti sinuosi la giarrettiera e la lanciai al pubblico con una espressione birichina. Terminai la performance facendo roteare i seni con i copri-capezzoli argentati che filtravano la luce dei riflettori.
Per essere la mia prima volta… Non è stata niente male…
Quell’ultima notte, dopo lo spettacolo, la burlesque si chiuse in camerino. Si sdraiò sul divanetto con addosso la vestaglia di seta. Sentiva un fiume caldo inondarle il cervello, la stanza le girava attorno impazzita. Si alzò, le mancava l’aria, uscì dalla porta sul retro, era confusa, non riusciva a parlare, a chiedere aiuto. Tutto si fece più nebuloso e lontano. Cadde e batté la testa contro la punta di un ferro arrugginito. Il sangue si liberò formando un lago rosso.
Quando il corpo esangue della ragazza fu rimosso dall’asfalto freddo, un brano Della storia di una burlesque, il diario che lei aveva scritto in quegli anni duri, si librò nell’aria. L’occhio di bue divenne un puntino, sino a scomparire. I riflettori si spensero, e scrosciarono gli applausi.

Restringendo ancora il campo si spensero anche le luci della città.

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