A TENORE
Di
Luca Dore
menzione
SU BASSU
SU BASSU
Problemi in
macchina dodici. Gli hertz in uscita vanno aumentando man mano che la valvola
di sfiato perde condensa. Sarà riparata durante la notte da alcuni crumiri
cingalesi cui non importa niente della semifinale Argentina-Inghilterra. Ma
nemmeno loro sospetteranno qualcosa. Né questi poveri cristi polacchi, né i
turchi, né tantomeno gli altri italiani.
L’importante è non farne bocca con nessuno - al circolo dei nostri, per
esempio - per non passare per i soliti sabotatori sardi e ritrovarsi a Elmas in
meno di tre ore. Nessuno deve soprattutto sospettare di me, quello che quando
entra il principale si aggiunge puntuale al coro dei gutenmorghen, pur sapendo che lui - vanesio e presuntuoso -
pretenderebbe un più remissivo, quotidiano vielen-dank,
per aver riempito il suo capannone di turchi, di polacchi, di sardi, di poveri.
E perché se ogni giorno noi camminiamo con le scarpe grosse sulle strade di
Krautenburg lo dobbiamo a lui. Correrà per sindaco, l’anno prossimo. C’è da
scommettere che si è dannato l’anima per farci votare, noi sardi, noi polacchi,
noi turchi, ma il ministro ha considerato la sua proposta alla stregua di un
rutto e perciò farà a meno dei nostri voti. È un sollievo: Krautenburg non
merita un sindaco come lui; non merita questo suonatore di sigari che ha ragione
solo quando dice che la città ci sopporta, come una vera madre che guarda pietosa
le nostre camicie della festa a Beidenplatz e sorride; c’è sempre un bar, un
pub, un peep-show che permette anche il nostro ingresso; c’è un viale alberato
grande quanto il nostro paese d’origine con panchine sufficienti a contenere i
forestieri, senza avere grane; c’è gente disposta a offrirci cartoncini per la
festa più appariscente dell’estate 86. Adoro la città e dopo dieci mesi posso
affermare - e sarei in grado di urlarlo in faccia al caro presidente del
circolo dei sardi - che niente mi manca della nostra bella bidda svuotata. Alla pausa della macchina dodici, quando vado a
sedere in sala tornio, ogni tanto chiudo gli occhi e torno a casa; sai che
favola: le secchiate d’acqua fredda sull’asfalto, le nuove cabine telefoniche,
lo spostarsi delle betoniere. Solo la musica mi manca. Non che qua non ce ne
sia. Verranno anche i Kiss a Krautenburg; e poi c’è un tizio che vende
strumenti musicali in Beidenstrasse e te li fa provare senza per forza
acquistarli.
Ma la musica
che porta il vento, quella mi manca.
SA CONTRA
Impiegherò
tre mosse a far incazzare il presidente. Di solito ci vuole meno. Perché lui è
quello che si presenterà in casa mia con le fotocopie belle e pronte per la
squadra e quando gli dirò: «No, io non ci gioco a calcetto», mi guarderà male,
ma avrà ancora una riserva da litro di buonumore da far evaporare. Allora gli
dirò: «E poi il calcio è morto all’Aisèl, zio Nì. Già un anno; che dopo tutti
quei morti il calcio gliene frega più niente a nessuno». Qui gli si sgonfierà
lo zigomo destro e tornerà serio, ma peggio per lui; se ne starà ancora coi
fogli davanti agli occhi a dirmi di firmare, che mi avrebbero dato la dieci, «…la
maglia di Platini, ajò. Ite ti costat?» cosa mi costa? mi costa che anziché
andare a Beidenplatz in mezzo alla calca di gambe nude e ragazze pettinate, mi
tocca prendere freddo al circolo dei sardi, mi tocca. «E poi, zì, io non vado
cercando il riscatto dell’emigrante. A me mi piace stare qui; non mi manca sa bidda». Bom! Kaput! - seguirà
simulazione d’infarto. E diventerà rosso e griderà: «Cozzone». Accenderò il
registratore e lui mi dirà con quel fischio dell’angina che ricorda un gregge:
«sa bidda nostra...» parlerà a pezzi «Se ti sentono al circolo ti
squalificano», rantolerà. Che paura! Essere squalificati dal circolo dei sardi…
«e cosa mi fanno? Mi tolgono uno dei quattro mori dal cappellino?» e lui
riesumerà la vecchia litania dell’emigrante di prima generazione: «…che noi
siamo quelli che per fare arrivare voi al diploma, il pollo ci durava una
settimana»; la voce di zio Nino prenderà rabbiose sfumature di raglio e poi
nuovamente di ovini e dirò altre cose non vere, cose cattive, pur di non farlo
smettere. Solo quando se ne andrà con la sua speciale onta di famiglia
disegnata nella bocca, sarò soddisfatto; prenderò la cassetta e uscirò verso Beidenplatz,
da dove si vede tutta la città, dove tutti ti guardano e nessuno ti cerca.
SA MESU-BOGHE
Alla fine, è
stata la nostalgia a farmi agire. Come accade ad altri, fuggiti dalla miseria,
così è accaduto a me. Invidia e nostalgia il carburante del futuro, come lo sono
stati del passato. Una volta fatto questo starò senz’altro meglio: me l’ho
promesso la notte scorsa di fronte al calvario di Italia - Francia zero a due.
Ci credo e non ci credo alla promessa, come un malato agli elisir, ma tanto
vale, male non farà. Cercherò la piazza più ventosa di tutta Krautenburg, la
città dove nessuno ti guarda in faccia e tutto rimane nella splendida bolla
salvifica dell’indifferenza. Quando stare dentro alla bolla ti fa sprofondare
nell’esigenza di riscatto, ti fa infilare la maglia dell’emigrato Platini e
giocare con rabbia, prima di tornare agli wohmheim
con la coppa del torneo interrazziale. Stare nella bolla fa parlare l’acquavite
dello zio Nino al posto tuo; scoprirti a dire: mi manca bidda mea e la sua piazza, unica e sola, le panchine segnate, il
vuoto-a-rendere tutto ammucchiato, il saluto di tzia Grascia al ritorno dal
cimitero per povero marito suo, l’odore della fregola nel sacco nella drogheria
di Nunziatina. E MariaTeresa, che sta andando in quarta ragioneria a Sassari e
non ti scrive da due settimane. E vedi le donne turche, le polacche sposate, le
autoctone in macchina arrivare a Beidenplatz, le troie additate dagli studenti
di lingue, le commesse a far la fila per un birra-crauti, i tossici a ovest del
monumento.
Beidenplatz
è il posto. Dove il vento porta e trattiene il dolore e la vanità.
Sarà davvero
questa l’azione antidoto alla mia malinconia? A saperlo. Infilo la maglietta
gialla, quella che l’altra sera indossavo per la festa del forestiero, quando per
ore siamo stati sommersi dai primi cinque dischi in classifica. Duran Duran (4
volte), Europe (9 volte), Gente di mare (a sfinimento). Secondo loro, questi
sono i nostri gusti? o questi sarebbe meglio che fossero? Una festa per noi che
abbiamo lasciato la bidda perché non potevamo fare altrimenti, organizzata dai
giovani figli nati in terra anzena da
chi aveva lasciato la bidda perché
non poteva fare altrimenti. C’è un buco nel mezzo, fratelli. E continuerò a
caderci battendo alle pareti del pozzo, finché la nostalgia non sarà scacciata.
SA BOGHE
Nemmeno
quando appoggio il microfono per terra e piazzo l’asta al centro di
Beidenplatz, sulla testa del soldato di marmo; né quando scendo e attacco le
casse con un pak!, nemmeno allora la gente mi vede. Solo adesso che il vento
puzzolente di fabbriche fa il rumore che cercavo e la gente se lo sente sputare
fuori dalle Marshall, allora mi notano e io son quello col dito alzato.
Alle sette
c’è mezza città in Beidenplatz. Nessuno, nemmeno il vigile cattivo, è riuscito
a farmi scendere dal monumento ed è arrivato un giornalista del Kblitz a farmi
la foto. Collego un Behringer 6 canali, mixer di ultima generazione, alla cassa
nera, prima di allontanarmi. Lascio tutto incustodito e torno col carrello
dove, ancora addormentata, sta la macchina dodici, vecchia carcassa aerea che
ha scoperto una nuova vita civile in questo infinito dopoguerra che si trascina
fino a noi, edonisti ragazzi di oggi noi.
Collego la
macchina dodici al mixer e il mixer alle casse. Portando le sue valvole allo
stremo, quella latta infernale è capace di produrre un suono ancestrale, come
di armenti in transumanza. Muggiti mescolati alla strigliata del pastore, un bom fisso e intestinale, che tiene la
nota. Costei, la macchina dodici, altro non è che su Bassu. Ma solo sollevando
il volume allo spasmo è possibile ottenere il risultato migliore.
Intanto il
vento, lo stesso vento che magari due tre giorni fa ha stagnato sulla nostra
terra, adesso si infila nella bocca del microfono e sembra che tutti, solo
allora, si accorgano del vento, e di un ragazzo con la maglietta gialla che
dorme nei wohmheim. In questo istante
tutti sentono sa Mesu-boghe, senza sapere nemmeno cos’è. Un vibrato, un
fischio, un diavolo ogni volta che il vento fa a spallate coi tetti, i
cipressi, le ciminiere. Le auto a Beidenplatz sono state spente, che tutti
stanno lì a sentire il bom e il leila-leila del grecale.
Quando mi
avvicino, tenendo per mano la barista del Polky, tutti si chiedono quale sarà
il suo ruolo. Le ho messo in mano il cavo del piccolo registratore comprato
all’aeroporto-flughafen, e la invito a infilarne la punta nella cassa del
vento, et voila, il tutto si confonde. La voce di zio Nino, come un fastidioso
ma intonato belare di greggi, quel fischio rugginoso di polmoni destinati a
certa silicosi: è un chiaro esempio di Contra; ora la ritmica è completa.
C’è il bom e
il leila-leila e ora c’è il bim-bai. La bionda ha ricevuto un applauso
strafottente, ma io le tengo ancora la mano, per non metterla in imbarazzo. E
le concedo l’onore, sul palcoscenico naturale che è la mia vergogna in piazza,
di dire qualunque cosa abbia in mente e lei dice “Tutti al Polky stasera” e
ogni autoctono o oriundo che sia, infilando la bocca nel microfono, emette
suoni stonati, sfrontati, rutti e singhiozzi che io reinventerò a mio esclusivo
piacere, facendone muttettos e bogh’e notte, serenate e canzoni, balli
della festa e a boghe seria, mentre
su Bassu bom, sa Contra bim-bai, sa mesu-boghe
ehia ehia, le parole dell’uomo, di ogni uomo, sardo, turco, polacco o
vigile indignato si fondono a tenore.
Ecco il
nostro omaggio a te, fermezza e razionalità, tecnica e freddezza. Eccoci, città
del progresso, offrirti quello che solo mancava al tuo quadrato di strade
ordinate e spazzate: il suono della vita nella notte dei tempi.
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