venerdì 6 giugno 2014

Pensieri volanti


Pensieri volanti

di
Mario C. Borghi

 1.

«Amalia, senti, ma cosa ti passa per la testa? Tu devi fare unicamente ciò che dico io, non ammetto iniziative personali. Devi solo sparecchiare i tavoli dei nostri ospiti che se ne vanno senza farlo e pulirli con l’apposito igienizzante. Punto. Basta. Cos’è questa novità?»

Lei lo ascoltava in piedi, composta, davanti alla scrivania, poi tentò di spiegare: «signor direttore…»
«Allo Square’s non ci sono direttori», cantilenò Daniele interrompendola, «spero che prima o poi lo capirai, l’ho già ripetuto almeno dieci volte. Io sono il tuo responsabile. È una questione di responsabilità, ognuno ha le proprie e non si devono creare problemi. Si chiama lavoro di squadra, solo uniti si va avanti, ognuno ha il proprio incarico, come nel meccanismo di un orologio» - sottolineò il concetto incastrando le dita e facendole ruotare come in un ingranaggio - «tu, anche se sei arrivata da poco, me ne hai già creati molti di problemi.»
Bussarono alla porta.
«Avanti!» Concesse Daniele.
Entrò Sandra, la sua vice. Si diresse verso la scrivania e si curvò verso di lui: «l’addetta al banco dell’ortofrutta mi ha appena dato questo, è caduto poco fa» sussurrò porgendogli un foglio arrotolato e legato a un filo, all’altra estremità del quale c’era un palloncino sgonfio.
«Grazie», rispose seccamente e Sandra uscì a testa bassa.
«Eccone un altro», riprese mostrandole ciò che gli era stato appena consegnato, «stiamo diventando gli zimbelli della città. Stai creando un danno a tutta la squadra nella quale sei stata fiduciosamente inserita. Lo sai quanta gente c’è là fuori, pronta a prendere il tuo posto?»
Daniele, fresco fresco di laurea e di specializzazione, al primo impiego come responsabile dello Square’s, un avveniristico fast-food realizzato esattamente al centro dell’enorme centro commerciale da poco inaugurato in città, aveva un’unica paura: scontentare il responsabile di area, magari a seguito di qualche lamentela o del calo di qualche cifra.
Per il resto si sentiva praticamente il padrone del mondo.
«Questa sera dopo la chiusura ci sarà un briefing, qui nel mio ufficio, e chiariremo questa situazione surreale. Vieni alle ventidue in punto. Puoi andare. Buongiorno» la congedò.


2.
Quella sera alle ventidue in punto Amalia entrò nell’ufficio. Dopo pochi istanti arrivarono anche gli altri colleghi; si schierarono, in piedi, davanti alla scrivania di Daniele, che restò comodamente seduto, e assunsero un atteggiamento di religiosa attesa, cercando di dissimulare al meglio la stanchezza di una giornata passata tra sala, cucina, pavimenti e casse.
Daniele iniziò: «ragazzi, si sta verificando una cosa a dir poco assurda, una situazione che mette a repentaglio tutta la nostra grande squadra. La vostra collega unisce il suo incarico contrattuale a un’altra attività come dire… fantasiosa, per usare un eufemismo. Per chi non lo sapesse ancora, si diverte a scrivere insulsi raccontini su dei fogli che fissa tramite una cordicella a un palloncino e poi li fa volare all’interno del nostro centro commerciale. Questa mattina uno di questi capolavori è piovuto sul banco dell’ortofrutta. Adesso Amalia avrà la bontà di spiegarci cosa significa tutto ciò.»
Si voltarono tutti di scatto verso la collega, che sembrava ipnotizzata. Poi di colpo esordì: «è che a volte percepisco una solitudine che mi rattrista. Ascolto, un po’ di sfuggita e un po’ appositamente, i discorsi dei clienti e…»
«Non sono clienti, Amalia, no, sono ospiti, O-SPI-TI!», la corresse Daniele con un sorrisino di commiserazione.
«…degli ospiti e mi uccide quel senso di frustrazione che talvolta aleggia sui loro tavoli. Cioè, mi sono detta: “ma perché non dare un valore aggiunto a queste brevi soste? O almeno provarci”.»
Daniele chiuse lentamente gli occhi e iniziò a massaggiarsi le tempie: «dai, fammi capire, tu ascolti i discorsi degli ospiti, li memorizzi, li riporti su dei foglietti che poi fissi a dei palloncini da far volare per il centro commerciale, nella speranza di conferire un’estetica alla permanenza nei nostri locali?» Chiese incredulo.
«Ma non trovi di una bellezza superba il momento in cui il palloncino, dopo essersi sgonfiato o scoppiato, cade a terra col suo messaggio partito da chissà chi e leggibile a chissà chi?» Replicò Amalia.
Sandra era già pronta a fare il nome di una sua cugina disoccupata. Gli altri guardavano, visibilmente a disagio, alternativamente il responsabile e la collega.
«Tu dai i numeri. Ma non è che sei stipendiata dalla concorrenza? E dimmi, il materiale che usi, fogli e palloncini, dove lo prendi? Magari vuoi anche un rimborso spese?» Disse lasciandosi andare a una risatina ironica, immediatamente condivisa dai presenti.
«Vorrei solo celebrare l’avvicendamento degli ospiti. Quel cercare gli spiccioli nei portafogli alla cassa, quel comprare i menù baby ai figli e aspettare il loro sguardo soddisfatto, quello scambiarsi i vassoi, quel rubarsi le patatine, quel muovere su e giù le cannucce, quello scartare la fettina di cetriolo, quegli imbarazzi, quelle insalatone dietetiche, quella fretta: mi stringono il cuore. Trovo tutto ciò di un fascino ineguagliabile. Struggente. Ognuno ci regala un po’ di sé, non ne sei convinto? Tra quei resti, per nulla anonimi, che io dovrei banalmente buttare via, c’è tutto un mondo e anche un po’ di solitudine.»
 «Riassumendo, in pratica la gente dice cose interessantissime sulle quali - oltre a commuoverti di fronte ai vassoi con le ordinazioni - scrivi dei raccontini che poi diffondi per l’aere. Bene, ma non credi che bastino già internet, i mass-media e i Baci Perugina?»
Tutti risero a comando.
         «Non ho mai detto di sentirle. Io ascolto e interpreto a modo mio e al di là delle parole. I palloncini fanno il resto», rispose Amalia rassegnata.
         «Cara poetessa maledetta e scapigliata dei poveri, tieni presente che da noi la gente viene per fuggire dal grigiore della metropoli, per concedersi un attimo di tranquillità, per ritrovarsi sereni, senza che ci sia qualcuno che la spii. Quindi fa’ una cosa, prenditi un periodo di pausa, prima di tornare al lavoro aspetta una mia chiamata. Adesso potete andare tutti, grazie e buona serata.»
         I ragazzi uscirono dall’ufficio guardandola fissamente. Lei non pianse, almeno così sembrò.
3.
         La mattina successiva, non appena Daniele entrò in ufficio, successe quello che più temeva: la telefonata del responsabile di area. Gli rispose con la solita cordialità e si preparò ad ascoltarlo, pronto al peggio.
«Carissimo! Stai andando alla grande eh! Bene, sono contento. Dunque, questa mattina verso le undici e trenta arriverò da te assieme a una delegazione della sede di Vancouver. Ha sentito, sì? Vancouver…» Daniele iniziò a tremare. «Ispezioneremo di nascosto il centro commerciale e, ovviamente, ci fermeremo a pranzo. Non aggiungo altro, se non che esigo la presenza di quella tua collaboratrice, come si chiama, Amalia mi pare, quella dei palloncini. Ho saputo che la concorrenza vuole copiarci l’idea, ma io la sto già brevettando, così si attaccano allegramente al tram. Da quando l’abbiamo assunta le cifre sono schizzate. Basta una sua firmetta – e tu sarai bravissimo, lo so, a fartela apporre sulla liberatoria che ti sto mandando via mail – e siamo pronti per volare in orbita. Certo che se aspettassi te… Quindi fatevi trovare in ordine, freschi e reattivi ma soprattutto adòperati affinché la collaboratrice faccia bene, e sottolineo bene, il suo lavoro di… come chiamarlo… palloncinaggio? È un’idea mondiale. Ecco, piuttosto, alla prima favorevole occasione mi offrirai una cena perché non mi hai interpellato, poi ti applicherò anche una multa per lo stesso motivo. Gli obiettivi e i target non sono idee personali, non permetterti più di prendere iniziative del genere senza consultarmi preventivamente. Buon lavoro genio e, mi raccomando, organizzati per fare qualche video, tu lì sei sprecato. Ciao bello.» E chiuse la chiamata lasciandolo a bocca aperta come un babbeo.
Riavutosi dallo stupore, compose il numero di Amalia, ma nessuno rispose. Mantenne la calma, erano solo le otto e dieci.
Alle undici ancora non l’aveva rintracciata e cadde nel panico. Allora iniziò a pensare di portarla, lentamente, prima al licenziamento poi al suicidio, usando qualcuna di quelle tecniche aziendali in cui era certo di essere bravissimo. O forse l’avrebbe solamente avvelenata. E un po’ si tranquillizzò, ma solo un po’.
Decise di convocare Sandra per metterla al corrente delle novità e quella lo stupì: «fregatene di quella matta, stai tranquillo, facciamo così: oggi faccio volare due palloncini, capirai quanto ci vuole, poi diciamo che l’idea era mia e che Amalia non si è fatta più vedere per la vergogna di essere stata accusata di plagio.»
Daniele, immediatamente squassato di adrenalina, la congedò e, rimasto solo, iniziò a ballare.


4.
Quella mattina una nuvola grigiastra entrò nel centro commerciale. Andò a sistemarsi sopra una tavolata di elegantissimi manager che stavano gustando le prelibatezze dello Square’s, mentre una goffa cameriera cercava di far volare dei palloncini legati con dei fili alle cui estremità c’erano dei foglietti arrotolati che si ostinavano a restare per terra.
A un certo punto tutto divenne in bianco e nero e alle dodici e zerosette esatte il centro commerciale implose. Si afflosciò. Completamente. Un unico botto, peraltro anche un po’ stupido, quasi anonimo, e divenne una montagna di macerie. Blu.
Arrivarono le TV e le sirene. Poi le fiaccolate, i fiori e qualche pupazzetto, tantissimi bigliettini, cuoricini e poesie.
Dopo ci fu la lotta per accedere agli studi televisivi e all’apposita commissione governativa bilaterale.
Un supertestimone giurò, anche in TV, a volto coperto e con la voce camuffata, di avere visto qualcuno che ballava il Bolero di Ravel sulle macerie, allora recintarono ancora di più l’area.
Forse ci faranno un museo, non appena il processo sarà finito.
Al decennale alcuni alunni di quinta elementare scrissero dei temi bellissimi e tutti piansero, anche il Sindaco.

Però Amalia, nessuno riuscì a rintracciarla.

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