Pensieri volanti
di
Mario C. Borghi
1.
«Amalia, senti, ma cosa ti passa per la
testa? Tu devi fare unicamente ciò che dico io, non ammetto iniziative
personali. Devi solo sparecchiare i tavoli dei nostri ospiti che se ne vanno
senza farlo e pulirli con l’apposito igienizzante. Punto. Basta. Cos’è questa
novità?»
Lei lo ascoltava in piedi, composta, davanti
alla scrivania, poi tentò di spiegare: «signor direttore…»
«Allo Square’s non ci sono direttori»,
cantilenò Daniele interrompendola, «spero che prima o poi lo capirai, l’ho già
ripetuto almeno dieci volte. Io sono il tuo responsabile. È una questione di
responsabilità, ognuno ha le proprie e non si devono creare problemi. Si chiama
lavoro di squadra, solo uniti si va avanti, ognuno ha il proprio incarico, come
nel meccanismo di un orologio» - sottolineò il concetto incastrando le dita e
facendole ruotare come in un ingranaggio - «tu, anche se sei arrivata da poco,
me ne hai già creati molti di problemi.»
Bussarono alla porta.
«Avanti!» Concesse Daniele.
Entrò Sandra, la sua vice.
Si diresse verso la scrivania e si curvò verso di lui: «l’addetta al banco
dell’ortofrutta mi ha appena dato questo, è caduto poco fa» sussurrò
porgendogli un foglio arrotolato e legato a un filo, all’altra estremità del
quale c’era un palloncino sgonfio.
«Grazie», rispose seccamente e Sandra uscì a
testa bassa.
«Eccone un altro», riprese mostrandole ciò
che gli era stato appena consegnato, «stiamo diventando gli zimbelli della
città. Stai creando un danno a tutta la squadra nella quale sei stata fiduciosamente
inserita. Lo sai quanta gente c’è là fuori, pronta a prendere il tuo posto?»
Daniele, fresco fresco di laurea e di
specializzazione, al primo impiego come responsabile dello Square’s, un
avveniristico fast-food realizzato esattamente al centro dell’enorme centro
commerciale da poco inaugurato in città, aveva un’unica paura: scontentare il
responsabile di area, magari a seguito di qualche lamentela o del calo di
qualche cifra.
Per il resto si sentiva praticamente il
padrone del mondo.
«Questa sera dopo la chiusura ci sarà un
briefing, qui nel mio ufficio, e chiariremo questa situazione surreale. Vieni
alle ventidue in punto. Puoi andare. Buongiorno» la congedò.
2.
Quella sera alle ventidue in punto Amalia
entrò nell’ufficio. Dopo pochi istanti arrivarono anche gli altri colleghi; si
schierarono, in piedi, davanti alla scrivania di Daniele, che restò comodamente
seduto, e assunsero un atteggiamento di religiosa attesa, cercando di
dissimulare al meglio la stanchezza di una giornata passata tra sala, cucina,
pavimenti e casse.
Daniele iniziò: «ragazzi, si sta verificando
una cosa a dir poco assurda, una situazione che mette a repentaglio tutta la
nostra grande squadra. La vostra collega unisce il suo incarico contrattuale a
un’altra attività come dire… fantasiosa, per usare un eufemismo. Per chi non lo
sapesse ancora, si diverte a scrivere insulsi raccontini su dei fogli che fissa
tramite una cordicella a un palloncino e poi li fa volare all’interno del
nostro centro commerciale. Questa mattina uno di questi capolavori è piovuto
sul banco dell’ortofrutta. Adesso Amalia avrà la bontà di spiegarci cosa
significa tutto ciò.»
Si voltarono tutti di scatto verso la
collega, che sembrava ipnotizzata. Poi di colpo esordì: «è che a volte
percepisco una solitudine che mi rattrista. Ascolto, un po’ di sfuggita e un
po’ appositamente, i discorsi dei clienti e…»
«Non sono clienti, Amalia, no, sono ospiti,
O-SPI-TI!», la corresse Daniele con un sorrisino di commiserazione.
«…degli ospiti e mi uccide quel senso di frustrazione
che talvolta aleggia sui loro tavoli. Cioè, mi sono detta: “ma perché non dare
un valore aggiunto a queste brevi soste? O almeno provarci”.»
Daniele chiuse lentamente gli occhi e iniziò
a massaggiarsi le tempie: «dai, fammi capire, tu ascolti i discorsi degli
ospiti, li memorizzi, li riporti su dei foglietti che poi fissi a dei
palloncini da far volare per il centro commerciale, nella speranza di conferire
un’estetica alla permanenza nei nostri locali?» Chiese incredulo.
«Ma non trovi di una bellezza superba il
momento in cui il palloncino, dopo essersi sgonfiato o scoppiato, cade a terra
col suo messaggio partito da chissà chi e leggibile a chissà chi?» Replicò
Amalia.
Sandra era già pronta a fare
il nome di una sua cugina disoccupata. Gli altri guardavano, visibilmente a
disagio, alternativamente il responsabile e la collega.
«Tu dai i numeri. Ma non è che sei
stipendiata dalla concorrenza? E dimmi, il materiale che usi, fogli e
palloncini, dove lo prendi? Magari vuoi anche un rimborso spese?» Disse
lasciandosi andare a una risatina ironica, immediatamente condivisa dai
presenti.
«Vorrei solo celebrare l’avvicendamento degli
ospiti. Quel cercare gli spiccioli nei portafogli alla cassa, quel comprare i
menù baby ai figli e aspettare il loro sguardo soddisfatto, quello scambiarsi i
vassoi, quel rubarsi le patatine, quel muovere su e giù le cannucce, quello
scartare la fettina di cetriolo, quegli imbarazzi, quelle insalatone
dietetiche, quella fretta: mi stringono il cuore. Trovo tutto ciò di un fascino
ineguagliabile. Struggente. Ognuno ci regala un po’ di sé, non ne sei convinto?
Tra quei resti, per nulla anonimi, che io dovrei banalmente buttare via, c’è
tutto un mondo e anche un po’ di solitudine.»
«Riassumendo, in pratica la gente dice cose
interessantissime sulle quali - oltre a commuoverti di fronte ai vassoi con le
ordinazioni - scrivi dei raccontini che poi diffondi per l’aere. Bene, ma non
credi che bastino già internet, i mass-media e i Baci Perugina?»
Tutti risero a comando.
«Non ho mai
detto di sentirle. Io ascolto e interpreto a modo mio e al di là delle parole.
I palloncini fanno il resto», rispose Amalia rassegnata.
«Cara
poetessa maledetta e scapigliata dei poveri, tieni presente che da noi la gente
viene per fuggire dal grigiore della metropoli, per concedersi un attimo di
tranquillità, per ritrovarsi sereni, senza che ci sia qualcuno che la spii.
Quindi fa’ una cosa, prenditi un periodo di pausa, prima di tornare al lavoro
aspetta una mia chiamata. Adesso potete andare tutti, grazie e buona serata.»
I ragazzi
uscirono dall’ufficio guardandola fissamente. Lei non pianse, almeno così
sembrò.
3.
La mattina
successiva, non appena Daniele entrò in ufficio, successe quello che più
temeva: la telefonata del responsabile di area. Gli rispose con la solita
cordialità e si preparò ad ascoltarlo, pronto al peggio.
«Carissimo! Stai andando alla grande eh!
Bene, sono contento. Dunque, questa mattina verso le undici e trenta arriverò
da te assieme a una delegazione della sede di Vancouver. Ha sentito, sì?
Vancouver…» Daniele iniziò a tremare. «Ispezioneremo di nascosto il centro
commerciale e, ovviamente, ci fermeremo a pranzo. Non aggiungo altro, se non
che esigo la presenza di quella tua collaboratrice, come si chiama, Amalia mi
pare, quella dei palloncini. Ho saputo che la concorrenza vuole copiarci
l’idea, ma io la sto già brevettando, così si attaccano allegramente al tram.
Da quando l’abbiamo assunta le cifre sono schizzate. Basta una sua firmetta – e
tu sarai bravissimo, lo so, a fartela apporre sulla liberatoria che ti sto
mandando via mail – e siamo pronti per volare in orbita. Certo che se
aspettassi te… Quindi fatevi trovare in ordine, freschi e reattivi ma
soprattutto adòperati affinché la collaboratrice faccia bene, e sottolineo
bene, il suo lavoro di… come chiamarlo… palloncinaggio? È un’idea mondiale.
Ecco, piuttosto, alla prima favorevole occasione mi offrirai una cena perché
non mi hai interpellato, poi ti applicherò anche una multa per lo stesso
motivo. Gli obiettivi e i target non sono idee personali, non permetterti più
di prendere iniziative del genere senza consultarmi preventivamente. Buon
lavoro genio e, mi raccomando, organizzati per fare qualche video, tu lì sei
sprecato. Ciao bello.» E chiuse la chiamata lasciandolo a bocca aperta come un
babbeo.
Riavutosi dallo stupore, compose il numero di
Amalia, ma nessuno rispose. Mantenne la calma, erano solo le otto e dieci.
Alle undici ancora non l’aveva rintracciata e
cadde nel panico. Allora iniziò a pensare di portarla, lentamente, prima al
licenziamento poi al suicidio, usando qualcuna di quelle tecniche aziendali in
cui era certo di essere bravissimo. O forse l’avrebbe solamente avvelenata. E
un po’ si tranquillizzò, ma solo un po’.
Decise di convocare Sandra per metterla al
corrente delle novità e quella lo stupì: «fregatene di quella matta, stai
tranquillo, facciamo così: oggi faccio volare due palloncini, capirai quanto ci
vuole, poi diciamo che l’idea era mia e che Amalia non si è fatta più vedere
per la vergogna di essere stata accusata di plagio.»
Daniele, immediatamente squassato di
adrenalina, la congedò e, rimasto solo, iniziò a ballare.
4.
Quella mattina una nuvola grigiastra entrò
nel centro commerciale. Andò a sistemarsi sopra una tavolata di elegantissimi
manager che stavano gustando le prelibatezze dello Square’s, mentre una goffa
cameriera cercava di far volare dei palloncini legati con dei fili alle cui
estremità c’erano dei foglietti arrotolati che si ostinavano a restare per
terra.
A un certo punto tutto divenne in bianco e
nero e alle dodici e zerosette esatte il centro commerciale implose. Si
afflosciò. Completamente. Un unico botto, peraltro anche un po’ stupido, quasi
anonimo, e divenne una montagna di macerie. Blu.
Arrivarono le TV e le sirene. Poi le
fiaccolate, i fiori e qualche pupazzetto, tantissimi bigliettini, cuoricini e
poesie.
Dopo ci fu la lotta per accedere agli studi
televisivi e all’apposita commissione governativa bilaterale.
Un supertestimone giurò, anche in TV, a volto
coperto e con la voce camuffata, di avere visto qualcuno che ballava il Bolero
di Ravel sulle macerie, allora recintarono ancora di più l’area.
Forse ci faranno un museo, non appena il
processo sarà finito.
Al decennale alcuni alunni di quinta
elementare scrissero dei temi bellissimi e tutti piansero, anche il Sindaco.
Però Amalia, nessuno riuscì a rintracciarla.
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