di
Francesco Bilotta
Ricordo di quella notte il cielo terso e
stellato dove brillava uno spicchio di luna, la brezza leggera e il profumo
dell'aria che annunciava la primavera.
Camminavo come ora per queste vie,
perdendomi allo stesso modo tra pensieri
confusi mentre la realtà mi sfuggiva. Così anche allora mi accorsi tardi che
era buio, quando ormai il sole doveva essere tramontato da un pezzo. Forse solo
altri sognatori camminavano con me e
ognuno d'improvviso si accorgeva della notte e della sua bellezza e continuava
la sua passeggiata solitaria. La luce dei lampioni illuminava i nostri
passi, calda e rassicurante, ma ancora
permetteva di guardare le stelle. Ogni cosa sembrava più bella nel buio che la
avvolgeva, perché quella era una notte
da sognatori, e non posso che ricordarla con nostalgia mentre ripercorro
melanconicamente le stesse strade.
La piazza che mi si apre davanti è rimasta uguale durante
gli anni. Le stesse case la cingono e ancora una statua la domina dall'alto.
Quella volta cominciai ad attraversarla correndo, a occhi chiusi, respirando
l'aria fresca della sera. Mi sentivo libero e addirittura potente, credevo di
esserne il padrone, ma questa sensazione sovrumana durò poco. A riportarmi alla
realtà fu infatti un sampietrino appena
sporgente sul quale inciampai, franando per terra. Mi stavo rialzando tutto
indolenzito quando sentii una risata inaspettata. Quindi non ero solo, davanti
a qualcuno avevo appena messo in atto quella scena ridicola, di cui io stesso
avrei riso. Pensai che doveva essere una
donna, molto bella per di più. Anche se non vedevo nessuno, infatti, la risata
era alta ed elegante e si perdeva nell'aria lasciando come un'impronta, un
profumo. A questo punto avrei proseguito come al solito nel mio vagare, ma
incuriosito e quasi affascinato da quel particolare volli cercarla. Notai
un'ombra muoversi dietro a una colonna, non persi tempo e la seguii. Si muoveva
velocemente, fuggiva? Non sono uno che da molta importanza agli specchi, ma
neanche credo di aver avuto, soprattutto a quel tempo, un aspetto tanto
inquietante da provocare una corsa del genere. Per questo motivo proseguii, un
po' irritato a quel punto, con passi più lunghi e frequenti.
Dalla piazza partono le eleganti vie del
centro, dove anche a quest'ora si può trovare qualcuno seduto in qualche caffè raffinato a parlare e a fumare. Artisti
di strada stanno agli angoli, suonano e alcuni sono molto bravi, almeno a
giudizio di un inesperto come me. Quelli che si esibiscono ancora non sperano più in un offerta, lo fanno per
amore del proprio strumento, sentendosi seppur per poco i benefattori dei
passanti a cui fanno la carità della loro musica. Uno in particolare lo rivedo
ogni sera e mi sembra che sia rimasto nel suo cantuccio da sempre, insieme al suo
violino. Non ci siamo mai parlati ma ogni tanto anche lui sembra riconoscermi,
d'altronde penserà che devo essere un pazzo o un maniaco a passargli di fronte
così spesso. Ora è vecchio ma io lo
ricordo ancora giovane e con i capelli castani e magari anche lui fa lo stesso
con me. Ecco che mi saluta con un gesto, io rispondo, lui prende il suo violino
e attacca a suonare. È la stessa melodia. È quella che suonava mentre io
passavo, quella notte, inseguendo quella donna. La ricordo perché fu in quel
momento che lei, accorgendosi del mio passo più svelto, si girò e per la prima
volta vidi il suo viso. Bastò un attimo
perché ne rimanessi impressionato, perché restassi intrappolato dal suo
sguardo. Se sono riuscito con la complicità del tempo a dimenticare tutto il
resto, dai suoi occhi invece non riesco ancora a fuggire.
«Buonasera»
Mi fermai. Non ero pronto a fare
conversazione. Mi voltai per tornare indietro, volevo mettere fine a
quella stupidaggine dell'inseguimento e
tutto il resto.
«Ho detto “buonasera”...» disse lei con
fare quasi scocciato.
Qui cambiai idea. Pensai che quello
scocciato al massimo potevo essere io, dato che prima mi aveva deriso e poi era
scappata, come se fossi una bestia.
«Ho sentito che ha detto “buonasera”, non
le manca certo la voce»
«Insomma cosa vuole? Prima mi insegue, io
la saluto tranquillamente e lei mi risponde così»
«In realtà prima lei si mette a ridere di
me e poi io la inseguo, anzi lei ride e poi scappa e io la inseguo, comunque
buonasera»
Dopo questo breve scambio di battute,
iniziava a muoversi verso di me minacciosamente, con un faccia che era molto
meno angelica di quella di prima. Un sampietrino appena sporgente, però, la
fece inciampare. Scoppiò ancora una risata, questa volta incontrollata ma
condivisa.
«Mi può dare una mano a rialzarmi, almeno?»
«Non so, potrei anche scappare» dissi,
mentre già la aiutavo.
Mentre ripenso a quelle parole, adesso, mi
accorgo di quanto fossero patetiche.
In ogni caso una volta che si rialzò, mi
presentai. Disse che non aveva mai sentito il mio nome, cosa che era del tutto
scontata, e le chiesi il suo. Non mi era nuovo, doveva di sicuro avere una
certa fama per il suo aspetto. Seguì un breve silenzio che volli subito
rompere, a costo di fare la più stupida delle domande:
«Cosa ci fa in giro a quest'ora?»
«Stavo tornando a casa, quando l'ho vista,
e lei?»
«Io stavo facendo una passeggiata, mi piace
camminare di notte, giro per un po' e torno a casa, niente di speciale»
«E le fa spesso queste sue passeggiate?»
«Mah, dipende. Quando non ho nulla da fare,
sempre. Non sono uno molto impegnato, quindi alla fine si, le faccio spesso.
Credo che sia un buon modo di passare il tempo da soli.»
Allora le avrei voluto chiedere qualcosa in
più, chi fosse veramente e se le fosse mai capitato di passare del tempo da
sola, cosa poco probabile d'altronde, invece non ne ebbi il coraggio. A forza
di stare così a lungo per conto mio, avevo dimenticato che
piacere fosse parlare con qualcuno, e tornare a farlo, anche se per dire
banalità mi rendeva felice. Ero diventato un' isola, ma per qualche attimo mi
sentii qualcosa di più grande. Mi sentii come un pianeta remoto che vede la sua
notte illuminata da una stella cometa. Fu però solo per poco, perché quella era
destinata a scomparire dietro al mio orizzonte.
Così, dopo aver camminato insieme fino alla
fine della via, eppoi fino alla fine di un'altra e di un'altra ancora, mentre
il nostro dialogo procedeva a fasi alterne, ci fermammo. Il sole stava
sorgendo, mentre il cielo già diventava biancastro. Lei si allontanò,
scomparendo nel giorno che cominciava. Io tornai verso il mio desolato appartamento, stremato. Quando
arrivai caddi in un sonno profondo.
Mi svegliai solo dopo qualche ora, provando
un senso di grandissimo sconforto. La luce chiara del sole illuminava la mia stanza e affacciandomi alla finestra vidi
che niente aveva più i magici contorni sfumati della notte. Questo sentimento
non si limitò a quel risveglio ma si ripresentò spesso, dovuto alla
consapevolezza che quell'episodio era stato eccezionale, irripetibile. Eppure
tentai di rivivere quella notte, rivisitando quei luoghi durante passeggiate
senza meta, con l'unico fine di incontrare di nuovo quella donna, mentre gli
anni passavano. Non ho mai voluto cercarla di giorno, informandomi su chi fosse,
per esempio, anche quando avrei potuto facilmente. Ho sempre preferito affidare
la nostra riunione al caso, all'imprevedibilità dei sogni.
In questo modo, anche stasera vi racconto
questi fatti mentre cammino, ormai vecchio. Non ho più le forze per correre in
mezzo alla piazza, arranco e ogni tanto mi devo fermare su una panchina.
Seduto, mi accorgo che anche oggi è una bella nottata, mi godo il fresco e mi
riposo. Mi guardo intorno alla ricerca di qualsiasi distrazione. Per prima cosa
decido di seguire il volo di un merlo, poi passa un tizio in bicicletta, e dopo
un cane.
Ma ecco che improvvisamente mi attrae un
luccichio. Ritorna a risplendere nel mio cielo quella cometa dalla chioma ormai
bianca … che dite la inseguo?
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