venerdì 6 giugno 2014

Una città unica

           
            UNA  CITTA’  UNICA
                            di
             Maria Teresa Cugusi

Una vecchia foto in fondo a un cassetto mostra un breve tratto della strada in  cui sono nata.
            Negli anni bui della guerra, trascorsi in Toscana, quest’ immagine mi ha accompagnato sem-
pre,  facendomi bruciare di nostalgia e di rimpianto, di desiderio e di certezze lontane.
Sì, un giorno
sarei tornata, avrei riabbracciato la mia Napoli, unica, calda, passionale, testimone dei miei più intimi,
infantili segreti, delle mie gioie radiose, delle mie penombre.
Di quella lunghissima via, di cui sapevo ogni pietra sconnessa, ogni fosso, amavo tutto. Il
tram  numero sei la attraversava   sferragliando e dal finestrino la vista spaziava sul golfo in azzurri
scorci sempre diversi.
Del Corso Vittorio Emanuele conoscevo le piccole deliziose attività a conduzione  famiglia-
re, con i retrobottega che custodivano tesori imprevedibili, oggetti misteriosi e per me magici, come
 antri di vecchi alchimisti.
Finita la guerra vi ritornai . Ormai ero cresciuta e sapevo badare a me stessa, ma il primo im-
patto  fu tutt’ altro che facile: avevo acquisito  l’accento livornese e dovevo reinserirmi nel sud.
Ripresi gli studi  e cominciai a svolgere piccoli incarichi, sottopagati e con orari impossibili,
 ma stringevo  i denti e conservavo una grande serenità. Cercavo di riappropriarmi della mia città e a-
mavo  frequentare le vie eleganti, piene di luci, di folla e di cose bellissime.
Essendo impegnata nel volontariato, frequentavo però anche i vicoli più poveri, i tristemente
famosi  Quartieri Spagnoli, Forcella, la Duchesca.  Mi  ci recavo spesso e, pur dopo qualche difficoltà
 iniziale, riuscii a farmi accettare, a fare del bene, a imparare molto. Non mi successe mai niente di
 male, anzi incontrai un’ umanità brulicante e viva, il cui tessuto quotidiano era fatto di espedienti di
ogni genere. Eppure, da quei vicoli senza sole, si levavano spesso poetiche canzoni che dicevano di
disperazione e d’amore, di disperazione e di sogni.
            Uscivo presto al mattino e notavo i padri che sguinzagliavano verso angoli strategici i bambi-
ni più piccoli con i loro ombrellini che appoggiavano aperti sul marciapiede con dentro spagnolette di
cotone, spille da balia, aghi. Ti supplicavano di comprare qualcosa altrimenti, se fossero tornati a casa
senza spiccioli, niente cena! I più grandicelli correvano al porto ad accogliere le navi americane e nor-
vegesi. Davanti ai marines estasiati, si esibivano in spericolati tuffi al grido di: “Dollars! Dollars!” e le
monetine cadevano a profusione, mentre i corpi degli scugnizzi,scintillanti nel sole, guizzavano instan-
cabili a snidarle sott’ acqua.
            La vita nei vicoli di Napoli si svolge soprattutto all’aperto e le notti estive sono più movimen-
tate dei giorni. I verdurai,che espongono ad arte la merce all’esterno, non la ritirano: aprono le sdraio,
cenano,chiacchierano,cantano, giocano a carte fino a notte inoltrata. Cumuli altissimi di angurie ralle-
grano il quadro e coprono le crepe dei muri neri di secoli.
            Napoli  non dorme mai: non dorme il mare che si frange sugli scogli,non dorme il vulcano con
la sua funicolare illuminata, non dorme la gente nelle viuzze inerpicate verso il Vomero.
            Dai Quartieri Spagnoli si sbuca direttamente in Via Roma e si arriva  al Teatro San Carlo e a
Piazza Plebiscito, dove si celebrano gli eventi più importanti:  è la Napoli bene, quella dei soldi, della
cultura, dell’intensa vita musicale, degli incontri al famosissimo Caffè Gambrinus.
            Tante sono le opportunità culturali, di aggregazione, ludiche che la città offre: per la maggior
parte della popolazione,  però,  esse  rimarranno sempre “al di là”, miraggi sognati ma irraggiungibili.
            Nella mia città, mille volte perduta, mille volte ritrovata, io ero felice,felice di potermi confon-
dere tra la gente senza perdere la mia identità, felice di sorridere allo spruzzo delle onde sul viso, che ti
assale  improvviso sul lungomare di via Caracciolo e ti nasconde per un attimo il mondo.
            Su tutto, su tutti, da secoli veglia sornione e solitario il Vesuvio, il gigante buono che ha ac-
compagnato  un lungo tratto della mia vita : la mia giovinezza…                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  


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