I SORRISI RUBATI DAL TEMPO
Di
Federica Ruttino
Sara quella notte non riusciva a
dormire, continuava a girarsi tra le lenzuola bianche appena lavate del suo
lettino senza trovare una posizione comoda per prendere sonno.
Aveva solamente
sette anni ma già moriva dalla voglia di dare una risposta a tutte le domande
che si affollavano nella sua testa. Il caldo di settembre la faceva sudare ma
era sicura che non era quello il motivo della sua insonnia. Si alzò piano dal
letto per non svegliare Lucia, sua sorella, che dormiva proprio accanto a lei,
e andò in punta di piedi nella camera dei suoi genitori, sperando che potessero
farle un posticino in mezzo a loro, come facevano sempre quando non riusciva a
dormire. Sollevò piano le coperte e si fece scivolare tra le braccia della sua
mamma che era troppo stanca per obbiettare e si limitò a un lieve brontolio di
dissenso, prima di riprendere a dormire. A Catania erano da poco passate le cinque del
mattino e la brezza che entrava dalla finestra e le solleticava la schiena portava con se i rumori di una splendida città
e il profumo delle prime colazioni servite nel bar di fronte. Tutto si stava
svegliando, stava per iniziare un’altra giornata frenetica, che si sarebbe ben
presto popolata di turisti avidi di cultura ,vogliosi di scoprire quanto più
possibile prima di ripartire.
Appena un paio d’ore più tardi era già
ora di alzarsi, sul grande tavolo della cucina era pronta una tazza di latte
ancora fumante, che Lucia aveva preparato apposta per lei. Lucia e Sara avevano
parecchi anni di differenza, dodici su per giù, e questo aveva sempre spinto
entrambe ad avere un rapporto ben più profondo di quello che possono avere due
sorelle di solito, quasi come mamma e figlia. Si assomigliavano moltissimo
caratterialmente, ma quasi per niente dal punto di vista dell’aspetto: i lunghi
capelli neri di Lucia scendevano morbidi fin sotto le spalle e contrastavano
piacevolmente col pallore della sua pelle. Aveva dei grandi occhi verdi
,incorniciati da delle ciglia lunghe e folte, che piegava ogni mattina per
evitare che sbattessero sulle lenti dei suoi occhiali ; Sara invece fin da
neonata aveva sempre avuto dei bei riccioli biondi, che per comodità aveva
deciso di lasciarsi tagliare abbastanza corti, e dei grandi occhi nocciola,
proprio come quelli del suo papà.
Durante tutta la mattina a scuola era
rimasta a fissare il parco fuori dalla finestra scolorita della sua aula ,senza
prestare attenzione alla maestra che si destreggiava tra file di bambini vivaci
che cercavano di imparare l’alfabeto. Pensava e ripensava a un fatto che il
giorno prima aveva attirato la sua attenzione, proprio mentre guardava fuori da
quella finestra: era appena passata la ricreazione e lei stava ancora
raccogliendo le briciole che aveva lasciato cadere dalla sua merendina, quando
aveva iniziato a piovere a dirotto. Dalla grande finestra accanto a lei riuscì
a vedere le panchine del parco di fronte alla scuola che si svuotavano, e fiumi
di gente riversarsi dalle vie dentro i negozi, per non bagnarsi. Nel giro di
pochi minuti le strade si erano spopolate e i pochi che ancora vi erano rimasti
si affrettavano a trovare un riparo. Mentre assisteva a questo frenetico via
vai di persone,la sua attenzione si era focalizzata su un vecchietto in fondo
alla via,con la barba lunga e bianca, che faticava nel cercare di spingere la
sua carrozzella per le vie scoscese del centro storico, piene di buche e rese
scivolose dalla pioggia. Nessuno si era fermato ad aiutarlo. Nessuno si era
guardato intorno e si era accorto della silenziosa richiesta di aiuto nel suo
sguardo. Sara assisteva alla scena sperando che qualcuno si avvicinasse a quel
vecchietto che le faceva tanta tenerezza, e mostrasse un po’ d’altruismo,ma la
gente che gli passava vicino era troppo di fretta per accorgersi di lui, come
tutti gli adulti, sempre troppo di corsa per accorgersi di tutto.
Mentre ancora ripercorreva con la mente
quel ricordo così fastidioso, una sensazione di profonda tristezza aveva
iniziato a farsi strada nel suo cuore e già si sentiva gli occhi gonfi di
lacrime come se da un momento all’altro dovesse scoppiare a piangere. Negli
ultimi tempi non era la prima volta che si sentiva così, anzi, le capitava
spesso e la maggior parte delle volte senza un motivo apparente. La nonna
diceva sempre che i bambini riescono a capire molte più cose di quelle che
capiscono gli adulti, perché guardano con gli occhi del cuore, ma per quanto
Sara si sforzasse di capire, l’unica cosa che il suo cuore vedeva era la
tristezza negli occhi dei suoi genitori, da quando il suo papà aveva perso il
lavoro e la vita era diventata troppo cara da affrontare. La mamma aveva
cambiato supermercato e ormai si limitava a comprare solo lo stretto
indispensabile. La nonna aveva spiegato a Sara che non sempre le brave persone
riuscivano a condurre una vita serena, spesso erano costrette a farsi carico
anche dei problemi causati dai “potenti”, da coloro che avevano il compito di
amministrare sapientemente lo stato, ma che troppe volte fallivano nel loro
compito, e pur di non ammettere una sconfitta e chiedere aiuto, finivano per
annegare nella loro superbia e diventare preda di qualcuno più furbo di loro.
Lei non capiva, vedeva solo la frustrazione negli occhi della sua mamma ogni
volta che faceva una domanda alla quale non voleva o non riusciva a rispondere.
Alla fine aveva deciso di smettere di fare domande, sapeva che così la mamma
non si sarebbe più dovuta sentire triste.
Così anche quel giorno aveva deciso di
abbandonare l’idea di chiedere alla mamma quello che tanto la turbava: cosa
spingeva gli adulti ad andare sempre così di fretta?
Davanti alle scale della scuola Lucia la
stava già aspettando da qualche minuto, e non le ci volle molto per capire che
qualcosa non andava. Guardò per qualche secondo il sorriso della sua sorellina
che le pareva più scolorito del solito, aggrottò le sopracciglia in una smorfia
interrogativa, poi fece un grande sorriso complice e le chiese: “Che succede?
La maestra ti ha sgridato un'altra volta perché chiacchieravi? Guarda che non
ti devi preoccupare ,succede a tutti di farsi beccare qualche volta, devi solo
imparare a essere più discreta quando ridi!” Si rese subito conto che la sua
battuta non aveva suscitato l’ilarità che sperava, allora passò una mano tra i
riccioli di Sara scompigliandoli dolcemente e stette un po’ a guardarla,
leggermente confusa e interdetta su cosa dire.
D’un tratto l’espressione sul viso della
bambina si fece ancora più seria.
“Posso farti una domanda importante?”
“Certo tesoro,chiedimi tutto quello che
vuoi”
“Dove andate voi adulti sempre così di
fretta?”
A quella domanda seguì un profondo
silenzio, Lucia non sapeva cosa rispondere, prese per mano la sua sorellina e
la portò fino a una piccola panchina all’ombra di un vecchio olivo nel
giardinetto di fronte alla scuola, poi si sedette e con delicatezza fece salire
la piccola sulle sue ginocchia, dopo la guardò dritta nei suoi grandi occhi
nocciola e facendosi sfuggire un sospiro le disse: “Non lo so.” A quel punto
Sara si sentiva ancora più confusa di prima, non riusciva proprio a capire,
guardava Lucia mentre si arrotolava i capelli attorno alle dita, lo faceva
sempre quando rifletteva, poi la loro attenzione fu distratta dai rintocchi del
grande campanile della chiesa che stavano a indicare che erano passate le due
del pomeriggio e loro dovevano tornare a casa. Per tutto il tragitto stettero
in silenzio e dopo quel giorno ne’ Sara ne’ Lucia diedero più peso a quella
domanda che finì ben presto nel dimenticatoio, assorbita inconsciamente nelle
loro vite frenetiche.
Era ormai passato qualche anno, e quella
che poco tempo prima era una vivace bambina piena di curiosità era diventata
una giovane donna, troppo impegnata per cercare risposte, che si destreggiava
abilmente tra casa e lavoro,ma senza mai fermarsi un attimo per pensare,
oppressa da un milione di cose da fare e solo ventiquattro ore in cui
incastrarle.
Un giorno, mentre andava all’università,
passò per caso davanti a quel vecchi olivo nel parco, sotto il quale lei e sua
sorella si erano fermate a parlare diverso tempo prima. Sentì riaffiorare in se
quei forti interrogativi che non l’avevano mai realmente abbandonata, ma che
aveva solo momentaneamente messo da parte, in qualche cassetto del suo cuore,
in attesa di trovare una risposta che potesse davvero soddisfarla.
Si sedette sull’erba ancora umida di
rugiada e si soffermò per qualche minuto a guardare delle primule in mezzo al
prato. Era iniziata la primavera e lei non se n’era nemmeno accorta,tra tutti
quegli esami. Fu allora che capì.
Le aspettative. Erano loro a rendere la
vita di ogni adulto così frenetica, alla ricerca di un’eterna felicità che
continuavano a lasciarsi alle spalle ogni qual volta che guardavano avanti.
Ognuno ha degli obbiettivi e questa è una cosa giusta, è l’ambizione che ci
permette di migliorarci , ma col passare del tempo gli obbiettivi diventano
sempre di più perché raggiunto un traguardo ci sembra di intravederne subito un
altro, e il susseguirsi di obbiettivi ci porta a perdere di vista quelli già
conquistati. Il passare del tempo rende il ritmo della nostra vita sempre più
incalzante e via via ci sentiamo come se stessimo soffocando e se il tempo a
nostra disposizione fosse destinato a finire prima di darci la possibilità di
scoprire cosa realmente sia la felicità. Ma ora il tempo per Sara si era
fermato,ora sapeva cos’era la felicità: il presente. Il sentirsi vivo e il
sentirsi libero.
Fece scivolare piano una mano sul suo
pancione e lo accarezzò con tenerezza. Si lasciò sfuggire un sorriso carico di
gioia e sussurrò piano : “Tu piccolino conoscerai la felicità nelle piccole
cose, non rincorrere la tua vita,lascia che sia lei a rincorrere te”.
L’
aspettava un nuovo inizio ora,un nuovo obbiettivo,solo che questa volta avrebbe
saputo finalmente trovare la felicità, apprezzare ogni secondo prima di
ripartire.
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