venerdì 6 giugno 2014

I sorrisi rubati dal tempo


I SORRISI RUBATI DAL TEMPO
Di
Federica Ruttino

Sara quella notte non riusciva a dormire, continuava a girarsi tra le lenzuola bianche appena lavate del suo lettino senza trovare una posizione comoda per prendere sonno.
Aveva solamente sette anni ma già moriva dalla voglia di dare una risposta a tutte le domande che si affollavano nella sua testa. Il caldo di settembre la faceva sudare ma era sicura che non era quello il motivo della sua insonnia. Si alzò piano dal letto per non svegliare Lucia, sua sorella, che dormiva proprio accanto a lei, e andò in punta di piedi nella camera dei suoi genitori, sperando che potessero farle un posticino in mezzo a loro, come facevano sempre quando non riusciva a dormire. Sollevò piano le coperte e si fece scivolare tra le braccia della sua mamma che era troppo stanca per obbiettare e si limitò a un lieve brontolio di dissenso, prima di riprendere a dormire. A  Catania erano da poco passate le cinque del mattino e la brezza che entrava dalla finestra e le solleticava la schiena  portava con se i rumori di una splendida città e il profumo delle prime colazioni servite nel bar di fronte. Tutto si stava svegliando, stava per iniziare un’altra giornata frenetica, che si sarebbe ben presto popolata di turisti avidi di cultura ,vogliosi di scoprire quanto più possibile prima di ripartire.
Appena un paio d’ore più tardi era già ora di alzarsi, sul grande tavolo della cucina era pronta una tazza di latte ancora fumante, che Lucia aveva preparato apposta per lei. Lucia e Sara avevano parecchi anni di differenza, dodici su per giù, e questo aveva sempre spinto entrambe ad avere un rapporto ben più profondo di quello che possono avere due sorelle di solito, quasi come mamma e figlia. Si assomigliavano moltissimo caratterialmente, ma quasi per niente dal punto di vista dell’aspetto: i lunghi capelli neri di Lucia scendevano morbidi fin sotto le spalle e contrastavano piacevolmente col pallore della sua pelle. Aveva dei grandi occhi verdi ,incorniciati da delle ciglia lunghe e folte, che piegava ogni mattina per evitare che sbattessero sulle lenti dei suoi occhiali ; Sara invece fin da neonata aveva sempre avuto dei bei riccioli biondi, che per comodità aveva deciso di lasciarsi tagliare abbastanza corti, e dei grandi occhi nocciola, proprio come quelli del suo papà.
Durante tutta la mattina a scuola era rimasta a fissare il parco fuori dalla finestra scolorita della sua aula ,senza prestare attenzione alla maestra che si destreggiava tra file di bambini vivaci che cercavano di imparare l’alfabeto. Pensava e ripensava a un fatto che il giorno prima aveva attirato la sua attenzione, proprio mentre guardava fuori da quella finestra: era appena passata la ricreazione e lei stava ancora raccogliendo le briciole che aveva lasciato cadere dalla sua merendina, quando aveva iniziato a piovere a dirotto. Dalla grande finestra accanto a lei riuscì a vedere le panchine del parco di fronte alla scuola che si svuotavano, e fiumi di gente riversarsi dalle vie dentro i negozi, per non bagnarsi. Nel giro di pochi minuti le strade si erano spopolate e i pochi che ancora vi erano rimasti si affrettavano a trovare un riparo. Mentre assisteva a questo frenetico via vai di persone,la sua attenzione si era focalizzata su un vecchietto in fondo alla via,con la barba lunga e bianca, che faticava nel cercare di spingere la sua carrozzella per le vie scoscese del centro storico, piene di buche e rese scivolose dalla pioggia. Nessuno si era fermato ad aiutarlo. Nessuno si era guardato intorno e si era accorto della silenziosa richiesta di aiuto nel suo sguardo. Sara assisteva alla scena sperando che qualcuno si avvicinasse a quel vecchietto che le faceva tanta tenerezza, e mostrasse un po’ d’altruismo,ma la gente che gli passava vicino era troppo di fretta per accorgersi di lui, come tutti gli adulti, sempre troppo di corsa per accorgersi di tutto.
Mentre ancora ripercorreva con la mente quel ricordo così fastidioso, una sensazione di profonda tristezza aveva iniziato a farsi strada nel suo cuore e già si sentiva gli occhi gonfi di lacrime come se da un momento all’altro dovesse scoppiare a piangere. Negli ultimi tempi non era la prima volta che si sentiva così, anzi, le capitava spesso e la maggior parte delle volte senza un motivo apparente. La nonna diceva sempre che i bambini riescono a capire molte più cose di quelle che capiscono gli adulti, perché guardano con gli occhi del cuore, ma per quanto Sara si sforzasse di capire, l’unica cosa che il suo cuore vedeva era la tristezza negli occhi dei suoi genitori, da quando il suo papà aveva perso il lavoro e la vita era diventata troppo cara da affrontare. La mamma aveva cambiato supermercato e ormai si limitava a comprare solo lo stretto indispensabile. La nonna aveva spiegato a Sara che non sempre le brave persone riuscivano a condurre una vita serena, spesso erano costrette a farsi carico anche dei problemi causati dai “potenti”, da coloro che avevano il compito di amministrare sapientemente lo stato, ma che troppe volte fallivano nel loro compito, e pur di non ammettere una sconfitta e chiedere aiuto, finivano per annegare nella loro superbia e diventare preda di qualcuno più furbo di loro. Lei non capiva, vedeva solo la frustrazione negli occhi della sua mamma ogni volta che faceva una domanda alla quale non voleva o non riusciva a rispondere. Alla fine aveva deciso di smettere di fare domande, sapeva che così la mamma non si sarebbe più dovuta sentire triste.
Così anche quel giorno aveva deciso di abbandonare l’idea di chiedere alla mamma quello che tanto la turbava: cosa spingeva gli adulti ad andare sempre così di fretta?
Davanti alle scale della scuola Lucia la stava già aspettando da qualche minuto, e non le ci volle molto per capire che qualcosa non andava. Guardò per qualche secondo il sorriso della sua sorellina che le pareva più scolorito del solito, aggrottò le sopracciglia in una smorfia interrogativa, poi fece un grande sorriso complice e le chiese: “Che succede? La maestra ti ha sgridato un'altra volta perché chiacchieravi? Guarda che non ti devi preoccupare ,succede a tutti di farsi beccare qualche volta, devi solo imparare a essere più discreta quando ridi!” Si rese subito conto che la sua battuta non aveva suscitato l’ilarità che sperava, allora passò una mano tra i riccioli di Sara scompigliandoli dolcemente e stette un po’ a guardarla, leggermente confusa e interdetta su cosa dire.
D’un tratto l’espressione sul viso della bambina si fece ancora più seria.
“Posso farti una domanda importante?”
“Certo tesoro,chiedimi tutto quello che vuoi”
“Dove andate voi adulti sempre così di fretta?”
A quella domanda seguì un profondo silenzio, Lucia non sapeva cosa rispondere, prese per mano la sua sorellina e la portò fino a una piccola panchina all’ombra di un vecchio olivo nel giardinetto di fronte alla scuola, poi si sedette e con delicatezza fece salire la piccola sulle sue ginocchia, dopo la guardò dritta nei suoi grandi occhi nocciola e facendosi sfuggire un sospiro le disse: “Non lo so.” A quel punto Sara si sentiva ancora più confusa di prima, non riusciva proprio a capire, guardava Lucia mentre si arrotolava i capelli attorno alle dita, lo faceva sempre quando rifletteva, poi la loro attenzione fu distratta dai rintocchi del grande campanile della chiesa che stavano a indicare che erano passate le due del pomeriggio e loro dovevano tornare a casa. Per tutto il tragitto stettero in silenzio e dopo quel giorno ne’ Sara ne’ Lucia diedero più peso a quella domanda che finì ben presto nel dimenticatoio, assorbita inconsciamente nelle loro vite frenetiche.
Era ormai passato qualche anno, e quella che poco tempo prima era una vivace bambina piena di curiosità era diventata una giovane donna, troppo impegnata per cercare risposte, che si destreggiava abilmente tra casa e lavoro,ma senza mai fermarsi un attimo per pensare, oppressa da un milione di cose da fare e solo ventiquattro ore in cui incastrarle.  
Un giorno, mentre andava all’università, passò per caso davanti a quel vecchi olivo nel parco, sotto il quale lei e sua sorella si erano fermate a parlare diverso tempo prima. Sentì riaffiorare in se quei forti interrogativi che non l’avevano mai realmente abbandonata, ma che aveva solo momentaneamente messo da parte, in qualche cassetto del suo cuore, in attesa di trovare una risposta che potesse davvero soddisfarla.
Si sedette sull’erba ancora umida di rugiada e si soffermò per qualche minuto a guardare delle primule in mezzo al prato. Era iniziata la primavera e lei non se n’era nemmeno accorta,tra tutti quegli esami. Fu allora che capì.
Le aspettative. Erano loro a rendere la vita di ogni adulto così frenetica, alla ricerca di un’eterna felicità che continuavano a lasciarsi alle spalle ogni qual volta che guardavano avanti. Ognuno ha degli obbiettivi e questa è una cosa giusta, è l’ambizione che ci permette di migliorarci , ma col passare del tempo gli obbiettivi diventano sempre di più perché raggiunto un traguardo ci sembra di intravederne subito un altro, e il susseguirsi di obbiettivi ci porta a perdere di vista quelli già conquistati. Il passare del tempo rende il ritmo della nostra vita sempre più incalzante e via via ci sentiamo come se stessimo soffocando e se il tempo a nostra disposizione fosse destinato a finire prima di darci la possibilità di scoprire cosa realmente sia la felicità. Ma ora il tempo per Sara si era fermato,ora sapeva cos’era la felicità: il presente. Il sentirsi vivo e il sentirsi libero.
Fece scivolare piano una mano sul suo pancione e lo accarezzò con tenerezza. Si lasciò sfuggire un sorriso carico di gioia e sussurrò piano : “Tu piccolino conoscerai la felicità nelle piccole cose, non rincorrere la tua vita,lascia che sia lei a rincorrere te”.
 L’ aspettava un nuovo inizio ora,un nuovo obbiettivo,solo che questa volta avrebbe saputo finalmente trovare la felicità, apprezzare ogni secondo prima di ripartire.


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