venerdì 6 giugno 2014

Piero il Re del caos



Piero il Re del caos
di
Marco Fenudi



Mentre era in coda alla cassa del supermercato, uno dei tanti, forse troppi della sua città, Piero si sentiva stranamente calmo. Aveva appena cacciato via un pensiero, un quesito idiota che lo aveva rabbuiato chiedendogli se avesse preso il portafogli dal cruscotto della sua 124 Sport, quella reliquia di automobile - quasi un Ex-Voto - che utilizzava negli spostamenti.

Mentre sorrideva beato, un'altra inquietudine sostituì il pensiero ed avvertì un non so che. Come la calma prima della tempesta.
La fila continuava a scorrere, quando ebbe improvvisamente prurito.
Dietro l'orecchio.
Irresistibile.
Irraggiungibile.

Goffo com'era e per di più carico di prodotti abbarbicati su ogni punto d'appoggio offerto dalle spigolosità del suo corpo asciutto, era una bella impresa.
Ma il prurito era irresistibile, cresceva ogni secondo di più, come una sequenza esponenziale inarrestabile.
Gli oggetti che si accingeva a pagare, impilati l'uno sull'altro a voler sfidare le più elementari leggi della fisica, sembravano non attendere altro che una scusa, una mossa falsa, per innescare un bell'effetto domino e sparpagliarsi a terra con immenso clangore di scatolette-buste-bottiglie-confezioni, multiformi e multicolori. L'immenso clangore che avrebbe sputtanato agli occhi del mondo la terribile disorganizzazione di Piero, il re del caos.
La stessa disorganizzazione che, trionfante, gli aveva sghignazzato in un orecchio che non aveva preso il carrello porta spesa; la stessa che sadicamente glielo aveva sibilato quando aveva già percorso alcune decine di metri all'interno del supermercato. La stessa disorganizzazione a cui aveva risposto stizzito «devo prendere solo due o tre cosette».

La paura della figura di merda, davanti a tutte quelle persone che già lo osservavano sottecchi per il modo in cui si era presentato alla cassa, lo teneva sospeso tra l'impellenza del prurito ed il tentativo di darsi un contegno.
Ebbe un tremito ed immediatamente la paura lo agganciò alla gola, tenendolo sospeso tra dissimulare il prurito e dichiarare la resa; tra chiedere impietosamente «Qualcuno mi strappi via l'orecchio con tutto il prurito» e la voglia di lanciare tutti i prodotti per aria ed abbandonarsi all'autocompiacimento, grattandosi con un dito-una-mano-tutte-le-mani-i-polsi-le-ginocchia e, se non bastassero, anche con i piedi. Tutto pur di fermare quel tarlo che si era impadronito di ogni respiro, ogni pensiero, ogni battito del suo cuore accelerato, trasformandolo in una littorina sgangherata lanciata a tutta velocità su un binario morto. Lo schianto era inevitabile, questione di momenti.
Valutò, in verità, per un attimo, la possibilità di riuscire a calmierare il prurito strofinandosi sullo spigolo della maniglia del carrello porta spesa di quella donna che lo seguiva nella fila. Lei, infatti, in maniera del tutto singolare, avanzava spingendo il carrello per la parte posteriore, rivolgendo la maniglia in avanti, come fosse un paraurti. Un paraurti tra loro. La valutazione di Piero durò solo un attimo, prima di arrendersi all'evidenza che, l'impresa di piegarsi sulle gambe per assumere una posizione consona allo scopo, mantenendo l'equilibrio - suo e del carico di scatolame - non era alla sua portata.

E poi c'era il suo sguardo.
Lei, la sua vicina, la conduttrice del carrello/paraurti, la padrona della maniglia che gli aveva balenato soddisfazione al prurito, lo fissava.
Lo fissava e Piero non riusciva a leggere se ella fosse più incuriosita dal suo carico sporgente o più speranzosa di assistere al crollo degli oggetti e ridere di gusto.
Optò per la seconda, la più ignominiosa, dopo aver adocchiato l'ordine con cui lei aveva sistemato la spesa nel carrello. Quello non era un carrello della spesa pieno di prodotti gettati alla rinfusa come usano gli umani: era una esposizione perfettamente bilanciata, una fiera della razionalità, un Expò della Spesa.

Mentre pensava queste cose, Piero, lentamente ruotava sul suo asse, sconfitto; volgeva le spalle a quell'ordine minuzioso, dandosi un contegno ma essendone rapito. Non riusciva a capacitarsi di tanta armonia, lui che viveva agli antipodi, nella palude del suo caos primordiale...

E poi era bella.
Lei era bella di quella bellezza poco appariscente delle cose a posto. Così bella che Piero, mentre si voltava tenendole lo sguardo timidamente incollato, somigliava ad un Camaleonte per la capacità di roteare gli occhi con angolazioni strabilianti.
Quando perse il contatto visivo, sospirò.

In quel preciso istante, una folata intensa di profumo femminile lo preavvertì e Piero sorrise d'anticipo.
Avvertì un polpastrello sfregargli lentamente il retro dell'orecchio sinistro, esattamente alla sorgente del prurito.
« Mmmmm...» fu il suono che emise mentre espirava tutta l’aria dai polmoni.
Un'unghia femminile, alternata al polpastrello vellutato di quello stesso dito che era giunto a salvarlo, gli procurava un piacere che la pelle d'oca tradusse in parole mute di felicità; parole in rilievo sulla sua pelle mugolavano una sequenza silente di Aaah, Mmmmmh, Uuuhhhh.
«Non fermarti, disse tra se e se, non fermarti – ti prego! Mi stai salvando la vita...»

In quell'abbandonarsi al sollievo perse un pacco di pasta; si irrigidì ma non si mosse poiché non udì alcun tonfo provenire dal pavimento.
Dopo un attimo, la mano di lei ripose gli spaghetti in posizione originaria, tra costole ed avambraccio, sussurrandogli «SSSSSSHHHH! Vai avanti, la cassa è libera».
Piero avanzò rilassato, poggiò i prodotti sul nastro automatico con una destrezza nuova e si voltò verso lei.

Le scattò una foto con un battito di ciglia e la sua posa era perfetta, una foto bellissima, spontanea come quella di una modella davanti al fotografo.
Arrivato a casa, sviluppò quella foto in una poesia di parole d'amore coloratissime, che incorniciò ed appese in un angolo della sua testa.
Da quel giorno la portò sempre appresso con se, così da averla sempre davanti agli occhi. Lo aiutava a tenere in ordine i pensieri.
Teneva bene a fuoco l'immagine di quel volto, di quelle parole e per giunta non aveva bisogno di muovere gli occhi come un camaleonte per cercare tutto ciò che sapeva di possedere, le evidenze di quella vita caotica che gli apparteneva, ma che sembrava continuamente sfuggirgli dalle mani.

Iniziò persino a pulire gli interni della 124 Sport, eternamente in contrasto con la carrozzeria sfavillante, a cui dedicava una cura maniacale fatta di lavaggi frequenti e conseguenti lucidature col panno. Lucida fuori e caotica dentro: quella era la sua automobile, al pari della vita.


«Amore!» Un giorno, alzandosi, chiamò così, timidamente, quel ritratto.

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