venerdì 6 giugno 2014

Alla ricerca di Krypton


Alla ricerca di Krypton.
di Carla Cadinu


Se mi dovessero chiedere di fare una considerazione generale sulla mia esistenza risponderei che è un successo; ho realizzato, di fatto, ciò a cui aspiravo:
lavoro come hostess per una famosa compagnia aerea, ho soldi, successo, amici in ogni parte del mondo, non ho un uomo né figli, ma questa è stata una mia scelta e, soprattutto, viaggio in continuazione da una parte del mondo all’altra. Viaggiare, infatti, è sempre stato il mio sogno più grande; fin da piccola, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, non rispondevo, come la maggior parte delle bambine, con una frase a caso gettata sul momento senza troppa convinzione tipo “voglio fare la ballerina” giusto per dare una risposta, io dicevo sempre “voglio viaggiare e volare sul cielo”. Spesso ricordo anche, che quelli che io chiamavo “i grandi” sorridevano e talvolta, ridevano dinanzi a tale affermazione formulata da una bambina così piccola. In effetti qual è la bambina che sa già chiaramente quel che avrebbe realizzato una volta maggiorenne? Eppure io si, io dentro di me lo sapevo, lo sentivo e odiavo che i cosiddetti “grandi” ridessero per questo. Forse, riflettendoci ora, tale disio è sorto in me quando mio padre se n’è andato. Avevo solo sei anni ma ricordo fin troppo bene la sensazione di smarrimento e vuoto provata quella domenica mattina, quando entrai correndo in camera da letto dei miei genitori per svegliarlo certa che avrei urlato come sempre “Papà svegliati è domenica,c’è la colazione!” e lui non c’era. Mia madre l’aveva portato d’urgenza la notte prima in ospedale e non ce l’aveva fatta a sconfiggere quella che lui definiva “la mia kryptonite” perché, per me lui era Superman e spesso lo chiamavo così. Mio padre si chiamava Gave, era un bell’uomo, somigliava in maniera impressionante all’attore che interpretava Clark Kent e la prima volta che guardai con i miei il film, mamma m raccontò che urlai “Papà me quello sei tu!” e da quella volta, per me, lo era davvero. Purtroppo, però, il mio super eroe preferito perse la lotta contro il cancro. Mi arrabbiai parecchio, piansi, mi disperai, poi arrivò la calma e la tristezza ma non la rassegnazione. Non vidi mai il corpo di mio padre, solo la tomba, quindi subconsciamente mi autoconvinsi che in realtà lui non era morto, che era da qualche altra parte, in viaggio, che era solo uscito per compiere qualche missione speciale e poi sarebbe tornato. Nella mia piccola mente di bimba quel “se n’è andato” di mia madre significava ciò. Nonostante le mie fantasie, da quelle mattina del cinque Agosto la sua assenza provocò uno squarcio, una ferita profondissima nella mia anima e, anche se piccola, ero bene consapevole che non si sarebbe mai più rimarginata. Ricordo che a un tratto tutto iniziò a sembrarmi distante, finto, come in un film, non mio, perfino mia madre non pareva più la mia. Lo cercavo e cercavo, ancora e ancora, all’uscita di scuola in mezzo agli altri genitori, speravo di incrociare il suo sguardo per strada e anche a casa ogni tanto, entravo in camera da letto sperando che fosse li, che stesse dormendo, ma niente. Forse fu proprio allora, quando realizzai la sua mancanza, che nacque in me la voglia di viaggiare, per trovarlo, per riabbracciare il mio Superman; sarei volata anche su Krypton se avessi potuto. Da adolescente ero ritenuta una ragazza fin troppo estroversa, avevo molti amici, un bell’aspetto, bei voti a scuola, venivo invitata a feste ed ero sempre al centro del gruppo. Anche il rapporto con mia madre era stabile, lei aveva bisogno di me e io di lei, ci sostenevamo a vicenda. Tutt’apparenza, dentro di me io non mi sentivo per niente a mio agio, volevo staccare, la mia città, anche se abbastanza grande, mi pareva soffocante,reputavo tutto sempre monotono e noioso, sentivo la vera e propria necessità di evadere in qualsiasi modo possibile. Fu cosi che scoprii e provai le droghe: prima leggere e poi pesanti, per divertirmi,dicevo, feci del male a me stessa e ai miei cari, a mia madre che, anche se sola, non mi faceva mai mancare niente, anche a costo di lavorare molte ore in più. Invece di aprire la mia mente, caddi in una delle schiavitù peggiori e diventai un personaggio chiuso e iracondo. Riuscire a liberarmene fu un’impresa ma ne uscii, finalmente rividi un barlume di speranza in fondo a un apparente interminabile tunnel, la voglia di andarmene rimase, ma stavolta era diverso, volevo viaggiare per scoprire il mondo e le sue mille sfaccettature e magari, trovare un luogo in cui sentirmi davvero a casa. Tornai a scuola, mi diplomai e andai all’università del distretto a causa dei miei precedenti di droga e vandalismo e delle scarse disponibilità economiche di cui mia madre disponeva. Decisi di diventare un’hostess sempre per lo stesso motivo e ce la feci. Questo lavoro fin ora mi ha resa felice, mi ha permesso di essere indipendente, di non possedere una fissa dimora,di conoscere tante persone, di non avere la possibilità né  il bisogno di consolidare legami stabili o di mettere su famiglia (cosa che mi spaventa parecchio e da cui ho avuto troppe delusioni) e vedere tantissime bellissime località della terra. Posso vantarmi di aver visitato città come Tokyo e NewYork, tutte a dir poco meravigliose, ma non mie. Speravo che, girando e cercando avrei trovato il mio posto, il luogo perfetto in cui vivere e che ne so, magari provare a mettere le radici, ma aimè, non è stato così. Ora più che mai percepisco la solitudine che ho creato intorno a me, mi trovo a Parigi, sono appena rientrata da una cena organizzata dai piloti nel bellissimo appartamento dell’hotel in cui devo rimanere fino a domani mattina, quando partirò per Roma. Porto ancora l’abito da sera, il trucco in viso e perfino i tacchi mentre scrivo questa lettera; appena entrata in stanza, mi sono affacciata al balcone per ammirare la bellezza delle luci dell’immensa capitale e mi sono sentita completamente vuota, inutile, stupida, esattamente come quella terribile domenica mattina. Ecco che di nuovo ho sentito la ferita bruciare, ansia, paura, confusione e il bisogno di scrivere. Un foglio, una penna al volo, non so perché sto scrivendo, non mi piace particolarmente scrivere,lo sto facendo e basta. Sto anche piangendo, perché? Io sono felice, io ho tutto, io sono libera! O forse no, no, non lo sono e non lo sono mai stata, ma ora ho capito, il mio posto non è questo mondo, forse è Krypton con papà, non lo so, ho voglia di scoprirlo però, tanto non so vivere qua, non l’ho mai saputo fare perciò, perché non provare? Provare a volare via?

Nessun commento:

Posta un commento