MODESTA PASSEGGIATA TRA LE STRADE E IL RICORDO DELLA MIA
CITTA’
di
Daniela Petricci
E’ bello tornare nella tua città e
vedere che non ti rifiuta, che ti riaccoglie, sentire che le onde del tuo amato
mare sospirano “bentornata!”
E’ bello tornare a respirare ogni
cambiamento, ogni sfumatura e poi correre a versare sulla carta quelle idee che
non ti lasciano dormire, che ti assalgono quando meno te l’aspetti.
Il suo politeismo lo riscopri celato
tra le pieghe dei sorrisi che incroci lungo le strade che vuoi ripercorrere
ogni giorno, quasi a voler marcare la
promessa che non te ne andrai più troppo lontano.
Ogni pensiero di porcellana si coagula
in queste notti insonni e vorrebbe evaporare con forza costante; ma ingrata
scelgo di restare attaccata all’ultimo alito di sonno rimasto.
Mi circondo di fedeli compagni e
comincio il mio viaggio: i miei libri mi accompagnano e zavorrano le mie valige
e vorrei ricambiare la loro lealtà con altrettante parole mie; ma, a volte cedo
al compromesso.
E così spariscono idee e sospiri di
attese da ricomporre sul foglio. Non lasciamo inaridire i ricordi e le speranze
vane di esito incerto e non meno gratificante.
Allora, entrando dalle porte del mare,
un mare onnipresente, guardo la mia città con occhi da turista e cerco di
riscoprirla, di assaporare tutti quei gusti e quelle sfumature che oggi, da
forestiera, prendono più sapore e forma e mi inducono a frugare nei ricordi.
Arrivando, improvvisamente la vedevo
arroccata sui suoi colli, come il fondale di un palcoscenico sul quale, per
puro esibizionismo, tutti i monumenti fanno a gara per mostrarsi almeno un po’:
c’è la cattedrale, una delle due torri, il bastione e poi tetti, case e tetti,
senza sosta, la sella del diavolo in lontananza.
La scenografia della mia città è
proprio bella, anche quando devi sforzarti per ricordare com’è, perché è ormai
troppo lontana.
O forse sei solo tu troppo lontana da
lei?
Il viaggio, è per me questo ritornare a
casa, rientrare nella mia città con occhi da turista, e cercare di trovare
tutte quelle sfumature che ti fanno bene a cuore e polmoni.
Da
quando ho ricominciato a sbirciare curiosa per le vie di quella che è stata la
mia città, da quando ho iniziato a vedere le ombre e indovinare da che parte e
in quale momento delle stagioni sarebbe risorto il sole per le strade della mia
città, ho cominciato a pensare a quegli amori che sopravvivono solo se
alimentati da forti tensioni, solo se sono disposti quotidianamente su un
pericolosissimo filo del rasoio.
Le
strade su cui passeggio in questi giorni, mi fanno bene: mi rianimano,
rinfrescano i ricordi e mi lasciano concentrare.
Non
richiedono particolari attenzioni; si lasciano scorrere, mansuete. Le rivedo
ogni giorno, sotto luci diverse, stagione dopo stagione. Mi concedono,
magnanime, di notare le loro numerose rughe e i loro tanti patimenti.
Percorrendole,
respirando l’aria di quell’odore inconfondibile, che ritrovo solo tra le pieghe
di questa città, cioè quel misto di asfalto e mare, variamente combinato dal
vento sempre presente. Percorrendole, ritrovo quel senso di libertà che provo
solo in mezzo a tutto questo traffico intasato, questi palazzi alti, queste
vetrine ovunque; e vorrei camminare e camminare, per raggiungere in un momento
tutti i punti della mia città che ancora non ho ripercorso, che non ho ancora
salutato, per dire loro “eccomi, sono tornata!”
Ho un
rapporto particolare, privilegiato con la mia città: mi piace pensare che sia
una forma di esclusività; che stesse lì ad aspettarmi, non proprio immobile,
anzi; certi cambiamenti l’hanno resa quasi irriconoscibile.
Stiamo
sempre dialogando, io e la mia città, di quel mucchio di ricordi che,
nonostante l’età, sono già riuscita ad accumulare, per nutrire i miei fogli e
per farmi compagnia nei momenti più freddi.
Ancora,
mi meraviglio che la memoria abbia già trovato lo spazio per modificare i
ricordi e le immagini di un passato non ancora invecchiato, tanto da non essere
più degno di evaporare nella mia realtà.
La mia
città, riconoscente per tante attenzioni, mi ripaga restituendomi quella
sensazione di sensuale libertà di pensare e rielaborare e riordinare quei
cassetti della memoria, che appartengono soltanto a me e alla mia nostalgia. Mi
lascia spazio per indovinare i visi di chi vedo passare per la strada.
Non
sono più chiusi a chiave, quei cassetti: chiunque potrebbe vedere cosa c’è
dentro, ma non occorre sbirciare: non me ne vergogno affatto, ma ci tengo a
conservarli, a badare che non si sciupino e guastino con l’ingiallimento del
tempo.
Mi
piace considerarli come quei libri che ho amato e che, avanzando nella lettura,
mi piace guardare quanto è spessa la parte già letta.
Così
pure, con i miei ricordi: li nutro tirandoli spesso fuori dal cassetto,
rinfrescandoli, facendo loro prendere l’aria del presente, accarezzandoli con
quel po’ di nostalgia che non guasta mai, accorgendomi che, nonostante il
passare del tempo, ormai sempre più accelerato, noto che sono ancora giovani e
freschi. E vivi.
A
volte escono, importuni in momenti non consoni; allora fanno male, perché non
ho abbastanza tempo da dedicare loro e devo ributtarli alla rinfusa nel loro
cassetto, sgarbatamente e richiuderlo a forza. Più tardi, rimetterò ordine.
Curiosamente,
cerco di percepire, osservandoli bene i contenuti profondi della mia città,
unica e irripetibile, senza grosse pretese, con qualche ambizione, quasi un
diritto acquisito ad aspirare alla nobiltà dei titoli di testate importanti.
Sempre in affannoso ritardo con i suoi belletti.
Osservo
la gente, le sue espressioni e il suo gesticolare frenetico, come pure il passo
e i pensieri. I respiri affaticati di chi arranca verso sogni sempre meno
realizzabili, gli sguardi dei passanti sempre rivolti verso il basso, un po’
perché temono di calpestare i propri errori inconfessabili; un po’ perché non
vogliono scorgere negli occhi degli altri i propri torti e le stesse paure.
Temono
di doversi fermare, perdendosi sempre dietro una nuova pausa caffè o un altro
solitario fumo di sigaretta. Molto di questo fumo viene ingerito soltanto,
perché crea quella giusta nebbia biancastra davanti ai loro sguardi e li salva,
momentaneamente, dall’obbligo di pensare e accettare che in fondo si è soli di
fronte al tempo che scorre, all’incapacità di reagire, all’invidia per il
vicino che tenta di lottare contro i numerosi errori commessi e subiti.
Immaginano
allora di scappare: hanno persino perso la voglia di sognare e non tentano
neppure di allungare lo sguardo poco più in là, trattenendo perseveranti il
fiato, fino alle prossime campagne elettorali.
Infine,
mi incanto sui movimenti concentrici di questa pozzanghera perenne, su questa
distesa di macchine parcheggiate. Penso ai parenti che vedrò sempre più
raramente e agli amici che non vedrò mai più, scandalizzandomi ancora per gli
assurdi parcheggi che con prepotenza le persone inquiete e frettolose riescono
a inventarsi e per gli ardui ragionamenti che alcuni sanno ancora regalare.
Invoco
l’assurdo e confido nel fatto che questa mia è pur sempre una vacanza e che,
domani, immersa nel silenzio delle mie stanze lontane, tutto questo caos mi mancherà
e tornerò per cercarlo di nuovo e per sentirmi una volta di più a casa.
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